Tutti gli scrittori antichi furono d’accordo nel considerarla una delle sette meraviglie del mondo: era una gigantesca lanterna installata su una torre di marmo bianco nell’isolotto di Pharos, presso Alessandria d’Egitto. Fu portata a termine nel 280 a.C. dall’architetto Sostrato su commissione del re Tolomeo Filadelfo: alta più di 120 metri, aveva lo scopo di indicare il porto ai naviganti durante la notte.
Agli uomini che navigavano nell’oscurità, questo chiarore amico che li salvava dal pericolo e li riportava a terra, sembrava addirittura un prodigio, tanto che proprio dall’isola di Pharos, e da quel fuoco prezioso che indicava il porto, deriva uno degli attributi della dea Iside, detta appunto Faria. A lei, protettrice della navigazione, i marinai in pericolo rivolgevano le loro invocazioni.
È il primo faro di cui si abbiano notizie storiche certe.

La vita di un guardiano del faro ha sempre colpito la mia immaginazione. Uomini solitari, consapevoli dell’importanza del proprio lavoro, affrontavano la durezza e le difficoltà di una vita isolata, magari su piccoli scogli in mezzo al mare, dove nel corso di lunghe tempeste rimangono bloccati per giorni senza viveri freschi, senza nessun contatto diretto con il resto del mondo.
Un mestiere in trasformazione, anche se i fari rimangono – ancora oggi – un riferimento fondamentale per chi va per mare.
Con il fascino ed il piacere raggiungerli e fotografarli durante i viaggi, oppure di costruire una rassegna di fari nei film o nelle serie televisive. Perché si è guardiani del faro innanzitutto dentro di sé, ne sono sicuro.