Seconda tappa del Progetto Čechov di Leonardo Lidi. La pièce, scritta nel 1897, narra i tormenti interiori di Ivan Petrovic Voiniskij, ovvero zio Vanja, che per sei anni ha amministrato con cura e scrupolo l’azienda agricola di famiglia insieme alla nipote Sonja. La loro tranquillità viene disturbata dall’arrivo del padre di lei, Serebrjakov, un illustre professore, vedovo della sorella di Vanja e ora novello sposo della giovane Elena. Vanja disprezza Serebrjakov perché negli anni ha dovuto provvedere a sostenerlo economicamente mentre lui si dedicava agli studi accademici. Alla tenuta arriva poi anche Astrov, un medico cinico e disilluso, di cui Sonja è segretamente innamorata ma non ricambiata. Un giorno il vecchio professore annuncia di voler vendere l’azienda e con i soldi guadagnati affittare una villa in Finlandia per lui ed Elena. Vanja a questo punto non ci vede più dalla rabbia, tanto che la situazione collassa: tira fuori una pistola, ma non riesce a colpirlo. Zio e nipote alla fine torneranno alla loro vita dimessa, continuando a inviare le rendite della tenuta a Serebjakov che nel frattempo si è spostato a vivere in città con Elena.

Zio Vanja racconta le vicende di una famiglia sconfitta dai propri fantasmi, è il dramma delle occasioni mancate, delle rinunce e dei rimpianti: una commedia domestica che pare quasi costruita sull’inerzia. C’è tutto ma non si vede nulla: non ci sono le cose. C’è la potenza della parola evocatrice che basta; non c’è la dacia, il samovar, tavole e poltrone, letti e balaustre, finestre e tendaggi. C’è l’immaginazione del regista e quella dello spettatore.