L’uomo dal fiore in bocca di Pirandello è la scena maestra dell’incomunicabilità, della solitudine che si aggrappa alla banalità dei particolari più piccoli e insignificanti del quotidiano per cercare di rintracciare una superiorità della vita sulla morte.
L’atto unico, rappresentato per la prima volta il 21 febbraio 1923 al Teatro Manzoni di Milano, è un colloquio fra un uomo che si sa condannato a morire fra breve, e per questo medita sulla vita con urgenza appassionata (l’uomo dal fiore in bocca, interpretato da Gabriele Lavia), e uno come tanti, che vive un’esistenza convenzionale, senza porsi il problema della morte (il pacifico avventore, interpretato da Michele Demaria). L’autore, come in altri casi, trasse il testo teatrale da una novella scritta anni prima e intitolata La morte addosso.

L’originale pirandelliano, che non subisce alcuna modifica nella trasposizione teatrale che ne fece l’autore, è stato arricchito da Gabriele Lavia con altre novelle che affrontano il tema della donna e della morte. La scena si apre in una simbolica Sala d’Attesa di una qualche stazione ferroviaria del Sud Italia. Si tratta di una scenografia imponente, disegnata da Alessandro Camera, e realizzata interamente nei laboratori del Teatro della Pergola, riaperti appositamente per questa produzione.

L’uomo dal fiore in bocca comincia a parlare con un’insistenza crescente, ironica e disperata, dimostrando una straordinaria capacità di cogliere i più minuti e all’apparenza insignificanti aspetti della vita. Le sue considerazioni amare rivelano terribili verità: l’uomo infatti è in attesa di morire. Mentre è in preda a queste dolorose confessioni vede dietro l’angolo l’ombra della moglie, interpretata da Barbara Alesse. È una donna preoccupata, lo vorrebbe curare col proprio affetto, ma all’uomo dal fiore in bocca non è di consolazione, anzi, è un ostacolo alla sua stringente necessità di vita da vivere che lo porta a osservare i commessi che impacchettano la merce venduta.