VOL. 1 (1967)

Preghiera in gennaio
Lascia che sia fiorito
Signore, il suo sentiero
quando a te la sua anima
e al mondo la sua pelle
dovrà riconsegnare
quando verrà al tuo cielo
là dove in pieno giorno
risplendono le stelle.

Quando attraverserà
l’ultimo vecchio ponte
ai suicidi dirà
baciandoli alla fronte
venite in Paradiso
là dove vado anch’io
perché non c’è l’inferno
nel mondo del buon Dio.

Fate che giunga a Voi
con le sue ossa stanche
seguito da migliaia
di quelle facce bianche
fate che a voi ritorni
fra i morti per oltraggio
che al cielo ed alla terra
mostrarono il coraggio.

Signori benpensanti
spero non vi dispiaccia
se in cielo, in mezzo ai Santi
Dio, fra le sue braccia
soffocherà il singhiozzo
di quelle labbra smorte
che all’odio e all’ignoranza
preferirono la morte.

Dio di misericordia
il tuo bel Paradiso
lo hai fatto soprattutto
per chi non ha sorriso
per quelli che han vissuto
con la coscienza pura
l’inferno esiste solo
per chi ne ha paura.

Meglio di lui nessuno
mai ti potrà indicare
gli errori di noi tutti
che puoi e vuoi salvare.

Ascolta la sua voce
che ormai canta nel vento
Dio di misericordia
vedrai, sarai contento.

Dio di misericordia
vedrai, sarai contento.

Marcia nuziale
Matrimoni per amore, matrimoni per forza
ne ho visti di ogni tipo, di gente d’ogni sorta
di poveri straccioni e di grandi signori
di pretesi notai e di falsi professori
ma pure se vivrò fino alla fine del tempo
io sempre serberò il ricordo contento
delle povere nozze di mio padre e mia madre
decisi a regolare il loro amore sull’altare.

Fu su un carro da buoi se si vuole essere franchi
tirato dagli amici e spinto dai parenti
che andarono a sposarsi dopo un fidanzamento
durato tanti anni da chiamarsi ormai d’argento.

Cerimonia originale, strano tipo di festa,
la folla ci guardava gli occhi fuori dalla testa
eravamo osservati dalla gente civile
che mai aveva visto matrimoni in quello stile.

Ed ecco soffia il vento e si porta lontano
il cappello che mio padre tormentava in una mano
ecco cade la pioggia da un cielo mal disposto
deciso ad impedire le nozze ad ogni costo.

Ed io non scorderò mai la sposa in pianto
cullava come un bimbo i suoi fiori di campo
ed io per consolarla, io con la gola tesa
suonavo la mia armonica come un organo da chiesa.

Mostrando i pugni nudi gli amici tutti quanti
gridarono “per Giove, le nozze vanno avanti”
per la gente bagnata, per gli dei dispettosi
le nozze vanno avanti, viva viva gli sposi.

Spiritual
Dio del cielo se mi vorrai
in mezzo agli altri uomini mi cercherai
e Dio del cielo se mi cercherai
nei campi di granturco mi troverai.

Dio del cielo se, mi vorrai amare
scendi dalle stelle e vienimi a cercare

Dio del cielo se, mi vorrai amare
scendi dalle stelle e vienimi a cercare.

La chiave del cielo non ti voglio rubare
ma un attimo di gioia me lo puoi regalare
la chiave del cielo non ti voglio rubare
ma un attimo di gioia me lo puoi regalare.

Dio del cielo se, mi vorrai amare
scendi dalle stelle e vienimi a cercare

Dio del cielo se, mi vorrai amare
scendi dalle stelle e vienimi a cercare.

Senza di te non so più dove andare
come una mosca cieca che non può più volare
senza di te non so più dove andare
come una mosca cieca che non può più volare.

e se ci hai regalato il pianto ed il riso
noi qui sulla terra non lo abbiamo diviso
e se ci hai regalato il pianto ed il riso
noi qui sulla terra non lo abbiamo diviso.

Dio del cielo se, mi vorrai amare
scendi dalle stelle e vienimi a salvare
Dio del cielo se, mi vorrai amare
scendi dalle stelle e vienimi a salvare.
Dio del cielo se mi vorrai
in mezzo agli altri uomini mi cercherai
e Dio del cielo se mi cercherai
nei campi di granturco mi troverai.

Dio del cielo se, mi vorrai amare
scendi dalle stelle e vienimi a cercare

Dio del cielo se, mi vorrai amare
scendi dalle stelle e vienimi a cercare.

Dio del cielo io ti aspetterò
nel cielo e sulla terra io ti cercherò.

Si chiamava Gesù
Venuto da molto lontano
a convertire bestie e gente
non si può dire non sia servito a niente
perché prese la terra per mano
vestito di sabbia e di bianco
alcuni lo dissero santo
per altri ebbe meno virtù
si faceva chiamare Gesù.

Non intendo cantare la gloria
né invocare la grazia e il perdono
di chi penso non fu altri che un uomo
come Dio passato alla storia
ma inumano è pur sempre l’amore
di chi rantola senza rancore
perdonando con l’ultima voce
chi lo uccide fra le braccia di una croce.

E per quelli che l’ebbero odiato
nel getzemani pianse l’addio
come per chi l’adorò come Dio
che gli disse sia sempre lodato,
per chi gli portò in dono alla fine
una lacrima o una treccia di spine,
accettando ad estremo saluto
la preghiera l’insulto e lo sputo.

E morì come tutti si muore
come tutti cambiando colore
non si può dire non sia servito a molto
perché il male dalla terra non fu tolto

Ebbe forse un pò troppe virtù,
ebbe un nome ed un volto: Gesù.
Di Maria dicono fosse il figlio
sulla croce sbiancò come un giglio.

Barbara
Chi cerca una bocca infedele
che sappia di fragola e miele
in lei la troverà
Barbara
in lei la bacerà
Barbara.

Lei sa che ogni letto di sposa
è fatto di ortiche e mimosa
per questo ad un’alta età
Barbara
l’amore vero rimanderà
Barbara.

E intanto lei gioca all’amore
scherzando con gli occhi ed il cuore
di chi forse la odierà
Barbara
ma poi la perdonerà
Barbara.

E il vento di sera la invita
a sfogliare la sua margherita
per ogni amore che se ne va
lei lo sa
un altro petalo fiorirà
per Barbara.

Via del Campo
Via del Campo c’è una graziosa
gli occhi grandi color di foglia
tutta notte sta sulla soglia
vende a tutti la stessa rosa.

Via del Campo c’è una bambina
con le labbra color rugiada
gli occhi grigi come la strada
nascon fiori dove cammina.

Via del Campo c’è una puttana
gli occhi grandi color di foglia
se di amarla ti vien la voglia
basta prenderla per la mano

e ti sembra di andar lontano
lei ti guarda con un sorriso
non credevi che il paradiso
fosse solo lì al primo piano.

Via del Campo ci va un illuso
a pregarla di maritare
a vederla salir le scale
fino a quando il balcone ha chiuso.

Ama e ridi se amor risponde
piangi forte se non ti sente
dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior
dai diamanti non nasce niente
dal letame nascono i fior.

Caro amore
sostituita in seguito da “La stagione del tuo amore”
Caro amore
nei tramonti d’aprile
caro amore
quando il sole si uccide
oltre le onde
puoi sentire piangere e gioire
anche il vento ed il mare.

Caro amore
così un uomo piange
caro amore
al sole, al vento e ai verdi anni
che cantando se ne vanno
dopo il mattino di maggio
quando sono venuti
e quando scalzi
e con gli occhi ridenti
sulla sabbia scrivevamo contenti
le più ingenue parole.

Caro amore
i fiori dell’altr’anno
caro amore
sono sfioriti e mai più
rifioriranno
e nei giardini ad ogni inverno
ben più tristi sono le foglie.

Caro amore
così un uomo vive
caro amore
e il sole e il vento e i verdi anni
si rincorrono cantando
verso il novembre a cui
ci vanno portando
e dove un giorno con un triste sorriso
ci diremo tra le labbra ormai stanche
“eri il mio caro amore”.

La stagione del tuo amore
La stagione del tuo amore
non è più la primavera
ma nei giorni del tuo autunno
hai la dolcezza della sera
se un mattino fra i capelli
troverai un po’ di neve
nel giardino del tuo amore
verrò a raccogliere il bucaneve

passa il tempo sopra il tempo
ma non devi aver paura
sembra correre come il vento
però il tempo non ha premura
piangi e ridi come allora
ridi e piangi e ridi ancora
ogni gioia ogni dolore
poi ritrovarli nella luce di un’ora

passa il tempo sopra il tempo
ma non devi aver paura
sembra correre come il vento
però il tempo non ha premura
piangi e ridi come allora
ridi e piangi e ridi ancora
ogni gioia ogni dolore
puoi ritrovarli nella luce di un’ora

La morte
La morte verrà all’improvviso
avrà le tue labbra e i tuoi occhi
ti coprirà di un velo bianco
addormentandosi al tuo fianco
nell’ozio, nel sonno, in battaglia
verrà senza darti avvisaglia
la morte va a colpo sicuro
non suona il corno né il tamburo.

Madonna che in limpida fonte
ristori le membra stupende
la morte no ti vedrà in faccia
avrà il tuo seno e le tue braccia.

Prelati, notabili e conti
sull’uscio piangeste ben forte
chi ben condusse sua vita
male sopporterà sua morte.

Straccioni che senza vergogna
portaste il cilicio o la gogna
partirvene non fu fatica
perché la morte vi fu amica.

Guerrieri che in punto di lancia
dal suol d’Oriente alla Francia
di strage menaste gran vanto
e fra i nemici il lutto e il pianto

davanti all’estrema nemica
non serve coraggio o fatica
non serve colpirla nel cuore
perché la morte mai non muore.

Bocca di rosa
La chiamavano Bocca di rosa
metteva l’amore, metteva l’amore,
la chiamavano bocca di rosa
metteva l’amore sopra ogni cosa.

Appena scese alla stazione
nel paesino di Sant’Ilario
tutti si accorsero con uno sguardo
che non si trattava di un missionario.

C’è chi l’amore lo fa per noia
chi se lo sceglie per professione
bocca di rosa né l’uno né l’altro
lei lo faceva per passione.

Ma la passione spesso conduce
a soddisfare le proprie voglie
senza indagare se il concupito
ha il cuore libero oppure ha moglie.

E fu così che da un giorno all’altro
Bocca di rosa si tirò addosso
l’ira funesta delle cagnette
a cui aveva sottratto l’osso.

Ma le comari di un paesino
non brillano certo in iniziativa
le contromisure fino a quel punto
si limitavano all’invettiva.

Si sa che la gente dà buoni consigli
sentendosi come Gesù nel tempio,
si sa che la gente dà buoni consigli
se non può più dare cattivo esempio.

Così una vecchia mai stata moglie
senza mai figli, senza più voglie,
si prese la briga e di certo il gusto
di dare a tutte il consiglio giusto.

E rivolgendosi alle cornute
le apostrofò con parole argute:
“il furto d’amore sarà punito-
disse- dall’ordine costituito”.

E quelle andarono dal commissario
e dissero senza parafrasare:
“quella schifosa ha già troppi clienti
più di un consorzio alimentare”.

E arrivarono quattro gendarmi
con i pennacchi con i pennacchi
e arrivarono quattro gendarmi
con i pennacchi e con le armi.

Il cuore tenero non è una dote
di cui sian colmi i carabinieri
ma quella volta a prendere il treno
l’accompagnarono malvolentieri.

Alla stazione c’erano tutti
dal commissario al sagrestano
alla stazione c’erano tutti
con gli occhi rossi e il cappello in mano,

a salutare chi per un poco
senza pretese, senza pretese,
a salutare chi per un poco
portò l’amore nel paese.

C’era un cartello giallo
con una scritta nera
diceva “Addio Bocca di rosa
con te se ne parte la primavera”.

Ma una notizia un po’ originale
non ha bisogno di alcun giornale
come una freccia dall’arco scocca
vola veloce di bocca in bocca.

E alla stazione successiva
molta più gente di quando partiva
chi mandò un bacio, chi gettò un fiore
chi si prenota per due ore.

Persino il parroco che non disprezza
fra un miserere e un’estrema unzione
il bene effimero della bellezza
la vuole accanto in processione.

E con la Vergine in prima fila
e Bocca di rosa poco lontano
si porta a spasso per il paese
l’amore sacro e l’amor profano.

Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers
Re Carlo tornava dalla guerra
lo accoglie la sua terra
cingendolo d’allor

al sol della calda primavera
lampeggia l’armatura
del sire vincitor

il sangue del principe del Moro
arrossano il ciniero
d’identico color

ma più che del corpo le ferite
da Carlo son sentite
le bramosie d’amor

“se ansia di gloria e sete d’onore
spegne la guerra al vincitore
non ti concede un momento per fare all’amore

chi poi impone alla sposa soave di castità
la cintura in me grave
in battaglia può correre il rischio di perder la chiave”

così si lamenta il Re cristiano
s’inchina intorno il grano
gli son corona i fior

lo specchi di chiara fontanella
riflette fiero in sella
dei Mori il vincitor

Quand’ecco nell’acqua si compone
mirabile visione
il simbolo d’amor

nel folto di lunghe trecce bionde
il seno si confonde
ignudo in pieno sol

“Mai non fu vista cosa più bella
mai io non colsi siffatta pulzella”
disse Re Carlo scendendo veloce di sella

“De’ cavaliere non v’accostate
già d’altri è gaudio quel che cercate
ad altra più facile fonte la sete calmate”

Sorpreso da un dire sì deciso
sentendosi deriso
Re Carlo s’arrestò

ma più dell’onor potè il digiuno
fremente l’elmo bruno
il sire si levò

codesta era l’arma sua segreta
da Carlo spesso usata
in gran difficoltà

alla donna apparve un gran nasone
e un volto da caprone
ma era sua maestà

“Se voi non foste il mio sovrano”
Carlo si sfila il pesante spadone
“non celerei il disio di fuggirvi lontano,

ma poiché siete il mio signore”
Carlo si toglie l’intero gabbione
“debbo concedermi spoglia ad ogni pudore”

Cavaliere egli era assai valente
ed anche in quel frangente
d’onor si ricoprì

e giunto alla fin della tenzone
incerto sull’arcione
tentò di risalir

veloce lo arpiona la pulzella
repente la parcella
presenta al suo signor

“Beh proprio perché voi siete il sire
fan cinquemila lire
è un prezzo di favor”

“E’ mai possibile o porco di un cane
che le avventure in codesto reame
debban risolversi tutte con grandi puttane,

anche sul prezzo c’è poi da ridire
ben mi ricordo che pria di partire
v’eran tariffe inferiori alle tremila lire”

Ciò detto agì da gran cialtrone
con balzo da leone
in sella si lanciò

frustando il cavallo come un ciuco
fra i glicini e il sambuco
il Re si dileguò

Re Carlo tornava dalla guerra
lo accoglie la sua terra
cingendolo d’allor

al sol della calda primavera
lampeggia l’armatura
del sire vincitor


TUTTI MORIMMO A STENTO (1968)

Cantico dei drogati
Ho licenziato Dio
gettato via un amore
per costruirmi il vuoto
nell’anima e nel cuore.

Le parole che dico
non han più forma né accento
si trasformano i suoni
in un sordo lamento.

Mentre fra gli altri nudi
io striscio verso un fuoco
che illumina i fantasmi
di questo osceno giuoco.

Come potrò dire a mia madre che ho paura?

Chi mi riparlerà
di domani luminosi
dove i muti canteranno
e taceranno i noiosi

quando riascolterò
il vento tra le foglie
sussurrare i silenzi
che la sera raccoglie.

Io che non vedo più
che folletti di vetro
che mi spiano davanti
che mi ridono dietro.

Come potrò dire la mia madre che ho paura?

Perché non hanno fatto
delle grandi pattumiere
per i giorni già usati
per queste ed altre sere.

E chi, chi sarà mai
il buttafuori del sole
chi lo spinge ogni giorno
sulla scena alle prime ore.

E soprattutto chi
e perché mi ha messo al mondo
dove vivo la mia morte
con un anticipo tremendo?

Come potrò dire a mia madre che ho paura?

Quando scadrà l’affitto
di questo corpo idiota
allora avrò il mio premio
come una buona nota.

Mi citeran di monito
a chi crede sia bello
giocherellare a palla
con il proprio cervello.

Cercando di lanciarlo
oltre il confine stabilito
che qualcuno ha tracciato
ai bordi dell’infinito.

Come potrò dire a mia madre che ho paura?

Tu che m’ascolti insegnami
un alfabeto che sia
differente da quello
della mia vigliaccheria.

Primo intermezzo
Gli arcobaleni d’altri mondi hanno colori che non so
lungo i ruscelli d’altri mondi nascono fiori che non ho.

Gli arcobaleni d’altri mondi hanno colori che non so
lungo i ruscelli d’altri mondi nascono fiori che non ho.

Leggenda di Natale
Parlavi alla luna giocavi coi fiori
avevi l’età che non porta dolori
e il vento era un mago, la rugiada una dea,
nel bosco incantato di ogni tua idea
nel bosco incantato di ogni tua idea.

E venne l’inverno che uccide il colore
e un babbo Natale che parlava d’amore
e d’oro e d’argento splendevano i doni
ma gli occhi eran freddi e non erano buoni
ma gli occhi eran freddi e non erano buoni.

Coprì le tue spalle d’argento e di lana
di perle e smeraldi intrecciò una collana
e mentre incantata lo stavi a guardare
dai piedi ai capelli ti volle baciare
dai piedi ai capelli ti volle baciare.

E adesso che gli altri ti chiamano dea
l’incanto è svanito da ogni tua idea
ma ancora alla luna vorresti narrare
la storia d’un fiore appassito a Natale
la storia d’un fiore appassito a Natale.

Secondo intermezzo
Sopra le tombe d’altri mondi
nascono fiori che non so

Ma tra i capelli d’altri amori
muoiono fiori che non ho

Ballata degli impiccati
Tutti morimmo a stento
ingoiando l’ultima voce
tirando calci al vento
vedemmo sfumare la luce.

L’urlo travolse il sole
l’aria divenne stretta
cristalli di parole
l’ultima bestemmia detta.

Prima che fosse finita
ricordammo a chi vive ancora
che il prezzo fu la vita
per il male fatto in un’ora.

Poi scivolammo nel gelo
di una morte senza abbandono
recitando l’antico credo
di chi muore senza perdono.

Chi derise la nostra sconfitta
e l’estrema vergogna ed il modo
soffocato da identica stretta
impari a conoscere il nodo.

Chi la terra ci sparse sull’ossa
e riprese tranquillo il cammino
giunga anch’egli stravolto alla fossa
con la nebbia del primo mattino.

La donna che celò in un sorriso
il disagio di darci memoria
ritrovi ogni notte sul viso
un insulto del tempo e una scoria.

Coltiviamo per tutti un rancore
che ha l’odore del sangue rappreso
ciò che allora chiamammo dolore
è soltanto un discorso sospeso.

Inverno
Sale la nebbia sui prati bianchi
come un cipresso nei camposanti
un campanile che non sembra vero
segna il confine fra la terra e il cielo.

Ma tu che vai, ma tu rimani
vedrai la neve se ne andrà domani
rifioriranno le gioie passate
col vento caldo di un’altra estate.

Anche la luce sembra morire
nell’ombra incerta di un divenire
dove anche l’alba diventa sera
e i volti sembrano teschi di cera.

Ma tu che vai, ma tu rimani
anche la neve morirà domani
l’amore ancora ci passerà vicino
nella stagione del biancospino.

La terra stanca sotto la neve
dorme il silenzio di un sonno greve
l’inverno raccoglie la sua fatica
di mille secoli, da un’alba antica.

Ma tu che stai, perché rimani?
Un altro inverno tornerà domani
cadrà altra neve a consolare i campi
cadrà altra neve sui camposanti.

Girotondo
Se verrà la guerra, Marcondiro’ndero
se verrà la guerra, Marcondiro’ndà
sul mare e sulla terra, Marcondiro’ndera
sul mare e sulla terra chi ci salverà?

Ci salverà il soldato che non la vorrà
ci salverà il soldato che la guerra rifiuterà.

La guerra è già scoppiata, Marcondiro’ndero
la guerra è già scoppiata, chi ci aiuterà.

Ci aiuterà il buon Dio, Marcondiro’ndera
ci aiuterà il buon Dio, lui ci salverà.

Buon Dio è già scappato, dove non si sa
buon Dio se n’è andato, chissà quando ritornerà.

L’aeroplano vola, Marcondiro’ndera
l’aeroplano vola, Marcondiro’ndà.

Se getterà la bomba, Marcondiro’ndero
se getterà la bomba chi ci salverà?

Ci salva l’aviatore che non lo farà
ci salva l’aviatore che la bomba non getterà.

La bomba è già caduta, Marcondiro’ndero
la bomba è già caduta, chi la prenderà?

La prenderanno tutti, Marcondiro’ndera
sian belli o siano brutti, Marcondiro’ndà

Siam grandi o siam piccini li distruggerà
sian furbi o siano cretini li fulminerà.

Ci sono troppe buche, Marcondiro’ndera
ci sono troppe buche, chi le riempirà?

Non potremo più giocare al Marcondiro’ndera
non potremo più giocare al Marcondiro’ndà.

E voi a divertirvi andate un po’ più in là
andate a divertirvi dove la guerra non ci sarà.

La guerra è dappertutto, Marcondiro’ndera
la terra è tutta un lutto, chi la consolerà?

Ci penseranno gli uomini, le bestie i fiori
i boschi e le stagioni con i mille colori.

Di gente, bestie e fiori no, non ce n’è più
viventi siam rimasti noi e nulla più.

La terra è tutta nostra, Marcondiro’ndera
ne faremo una gran giostra, Marcondiro’ndà.

Abbiam tutta la terra Marcondiro’ndera
giocheremo a far la guerra, Marcondiro’ndà…

Terzo intermezzo
La polvere il sangue le mosche e l’odore
per strada fra i campi la gente che muore
e tu, tu la chiami guerra e non sai che cos’è
e tu, tu la chiami guerra e non ti spieghi il perché.

L’autunno negli occhi l’estate nel cuore
la voglia di dare l’istinto di avere
e tu, tu lo chiami amore e non sai che cos’è
e tu, tu lo chiami amore e non ti spieghi il perché.

Recitativo (Due invocazioni e un atto d’accusa)
Uomini senza fallo, semidei
che vivete in castelli inargentati
che di gloria toccaste gli apogei
noi che invochiam pietà siamo i drogati.

Dell’inumano varcando il confine
conoscemmo anzitempo la carogna
che ad ogni ambito sogno mette fine:
che la pietà non vi sia di vergogna.

Banchieri, pizzicagnoli, notai,
coi ventri obesi e le mani sudate
coi cuori a forma di salvadanai
noi che invochiam pietà fummo traviate.

Navigammo su fragili vascelli
per affrontar del mondo la burrasca
ed avevamo gli occhi troppo belli:
che la pietà non vi rimanga in tasca.

Giudici eletti, uomini di legge
noi che danziam nei vostri sogni ancora
siamo l’umano desolato gregge
di chi morì con il nodo alla gola.

Quanti innocenti all’orrenda agonia
votaste decidendone la sorte
e quanto giusta pensate che sia
una sentenza che decreta morte?

Uomini cui pietà non convien sempre
male accettando il destino comune,
andate, nelle sere di novembre,
a spiar delle stelle al fioco lume,
la morte e il vento, in mezzo ai camposanti,
muover le tombe e metterle vicine
come fossero tessere giganti
di un domino che non avrà mai fine.

Uomini, poiché all’ultimo minuto
non vi assalga il rimorso ormai tardivo
per non aver pietà giammai avuto
e non diventi rantolo il respiro:
sappiate che la morte vi sorveglia
gioir nei prati o fra i muri di calce,
come crescere il gran guarda il villano
finché non sia maturo per la falce.

Corale (Leggenda del Re infelice)
C’era un re
che aveva
due castelli
uno d’argento
uno d’oro
ma per lui
non il cuore
di un amico
mai un amore né felicità.

Un castello
lo donò
e cento e cento amici trovò
l’altro poi
gli portò
mille amori
ma non trovo
la felicità.

Non cercare la felicità
in tutti quelli a cui tu
hai donato
per avere un compenso
ma solo in te
nel tuo cuore
se tu avrai donato
solo per pietà
per pietà
per pietà…


VOL. 3 (1968)

La canzone di Marinella
Questa di Marinella è la storia vera
che scivolò nel fiume a primavera
ma il vento che la vide così bella
dal fiume la portò sopra a una stella

sola senza il ricordo di un dolore
vivevi senza il sogno di un amore
ma un re senza corona e senza scorta
bussò tre volte un giorno alla sua porta

bianco come la luna il suo cappello
come l’amore rosso il suo mantello
tu lo seguisti senza una ragione
come un ragazzo segue un aquilone

e c’era il sole e avevi gli occhi belli
lui ti baciò le labbra ed i capelli
c’era la luna e avevi gli occhi stanchi
lui pose la mano sui tuoi fianchi

furono baci furono sorrisi
poi furono soltanto i fiordalisi
che videro con gli occhi delle stelle
fremere al vento e ai baci la tua pelle

dicono poi che mentre ritornavi
nel fiume chissà come scivolavi
e lui che non ti volle creder morta
bussò cent’anni ancora alla tua porta

questa è la tua canzone Marinella
che sei volata in cielo su una stella
e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno , come le rose

e come tutte le più belle cose
vivesti solo un giorno come le rose.

Il gorilla
Sulla piazza d’una città
la gente guardava con ammirazione
un gorilla portato là
dagli zingari di un baraccone

con poco senso del pudore
le comari di quel rione
contemplavano lo scimmione
non dico dove non dico come

attenti al gorilla!

d’improvviso la grossa gabbia
dove viveva l’animale
s’aprì di schianto non so perché
forse l’avevano chiusa male

la bestia uscendo fuori di là
disse: “quest’oggi me la levo”
parlava della verginità
di cui ancora viveva schiavo

attenti al gorilla!

il padrone si mise a urlare
” il mio gorilla , fate attenzione”
non ha veduto mai una scimmia
potrebbe fare confusione

tutti i presenti a questo punto
fuggirono in ogni direzione
anche le donne dimostrando
la differenza fra idea e azione

attenti al gorilla!

tutta la gente corre di fretta
di qui e di là con grande foga
si attardano solo una vecchietta
e un giovane giudice con la toga

visto che gli altri avevan squagliato
il quadrumane accellerò
e sulla vecchia e sul magistrato
con quattro salti si portò

attenti al gorilla!

bah , sospirò pensando la vecchia
ch’io fossi ancora desiderata
sarebbe cosa alquanto strana
e più che altro non sperata

che mi si prenda per una scimmia
pensava il giudice col fiato corto
non è possibile, questo è sicuro
il seguito prova che aveva torto

attenti al gorilla!

se qualcuno di voi dovesse
costretto con le spalle al muro,
violare un giudice od una vecchia
della sua scelta sarei sicuro

ma si dà il caso che il gorilla
considerato un grandioso fusto
da chi l’ha provato però non brilla
né per lo spirito né per il gusto

attenti al gorilla!

infatti lui, sdegnando la vecchia
si dirige sul magistrato
lo acchiappa forte per un’orecchia
e lo trascina in mezzo ad un prato
quello che avvenne fra l’erba alta

non posso dirlo per intero
ma lo spettacolo fu avvincente
e lo “suspence” ci fu davvero

attenti al gorilla!

dirò soltanto che sul più bello
dello spiacevole e cupo dramma
piangeva il giudice come un vitello
negli intervalli gridava mamma

gridava mamma come quel tale
cui il giorno prima come ad un pollo
con una sentenza un po’ originale
aveva fatto tagliare il collo.

attenti al gorilla!

La ballata dell’eroe
Era partito per fare la guerra
per dare il suo aiuto alla sua terra
gli avevano dato le mostrine e le stelle
e il consiglio di vendere cara la pelle

e quando gli dissero di andare avanti
troppo lontano si spinse a cercare la verità
ora che è morto la patria si gloria
d’un altro eroe alla memoria

ma lei che lo amava aspettava il ritorno
d’un soldato vivo, d’un eroe morto che ne farà
se accanto nel letto le è rimasta la gloria
d’una medaglia alla memoria.

S’ì fosse foco (da un sonetto di Cecco Angiolieri)
S’ì fosse foco, arderei ‘l mondo;
s’ì fosse vento, lo tempesterei;
s’ì fosse acqua; ì’ l’annegherei;
s’ì fosse Dio, mandereil’en profondo
s’ì fosse papa, sarè allor giocondo,
che tutt’i cristiani imbrigherei;
s’ì fosse ‘mperator, sa che farei?
a tutti mozzerei lo capo a tondo

s’ì fosse morte, andarei da mio padre;
s’ì fosse vita, fuggirei da lui:
similmente faria da mi’madre
s’ì fosse Cecco, come sono e fui,
torrei le donne giovani e leggiadre :
e vecchie e laide lassarei altrui.

Amore che vieni, amore che vai
Quei giorni perduti a rincorrere il vento
a chiederci un bacio e volerne altri cento

un giorno qualunque li ricorderai
amore che fuggi da me tornerai
un giorno qualunque ti ricorderai
amore che fuggi da me tornerai

e tu che con gli occhi di un altro colore
mi dici le stesse parole d’amore

fra un mese fra un anno scordate le avrai
amore che vieni da me fuggirai
fra un mese fra un anno scordate le avrai
amore che vieni da me fuggirai

venuto dal sole o da spiagge gelate
perduto in novembre o col vento d’estate

io t’ho amato sempre, non t’ho amato mai
amore che vieni, amore che vai
io t’ho amato sempre, non t’ho amato mai
amore che vieni, amore che vai

La guerra di Piero
Dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
ma son mille papaveri rossi

lungo le sponde del mio torrente
voglio che scendano i lucci argentati
non più i cadaveri dei soldati
portati in braccio dalla corrente

così dicevi ed era inverno
e come gli altri verso l’inferno
te ne vai triste come chi deve
il vento ti sputa in faccia la neve

fermati Piero, fermati adesso
lascia che il vento ti passi un po’ addosso
dei morti in battaglia ti porti la voce
chi diede la vita ebbe in cambio una croce

ma tu non lo udisti e il tempo passava
con le stagioni a passo di giava
ed arrivasti a varcar la frontiera
in un bel giorno di primavera

e mentre marciavi con l’anima in spalle
vedesti un uomo in fondo alla valle
che aveva il tuo stesso identico umore
ma la divisa di un altro colore

sparagli Piero, sparagli ora
e dopo un colpo sparagli ancora
fino a che tu non lo vedrai esangue
cadere in terra a coprire il suo sangue

e se gli sparo in fronte o nel cuore
soltanto il tempo avrà per morire
ma il tempo a me resterà per vedere
vedere gli occhi di un uomo che muore

e mentre gli usi questa premura
quello si volta, ti vede e ha paura
ed imbraccia l’artiglieria
non ti ricambia la cortesia

cadesti in terra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che il tempo non ti sarebbe bastato
a chiedere perdono per ogni peccato

cadesti interra senza un lamento
e ti accorgesti in un solo momento
che la tua vita finiva quel giorno
e non ci sarebbe stato un ritorno

Ninetta mia crepare di maggio
ci vuole tanto troppo coraggio
Ninetta bella dritto all’inferno
avrei preferito andarci in inverno

e mentre il grano ti stava a sentire
dentro alle mani stringevi un fucile
dentro alla bocca stringevi parole
troppo gelate per sciogliersi al sole

dormi sepolto in un campo di grano
non è la rosa non è il tulipano
che ti fan veglia dall’ombra dei fossi
ma sono mille papaveri rossi.

Il testamento
Quando la morte mi chiamerà
forse qualcuno protesterà
dopo aver letto nel testamento
quel che gli lascio in eredità
non maleditemi non serve a niente
tanto all’inferno ci sarò già

ai protettori delle battone
lascio un impiego da ragioniere
perché provetti nel loro mestiere
rendano edotta la popolazione

ad ogni fine di settimana
sopra la rendita di una puttana
ad ogni fine di settimana
sopra la rendita di una puttana

voglio lasciare a Bianca Maria
che se ne frega della decenza
un attestato di benemerenza
che al matrimonio le spiani la via

con tanti auguri per chi c’è caduto
di conservarsi felice e cornuto
con tanti auguri per chi c’è caduto
di conservarsi felice e cornuto

sorella morte lasciami il tempo
di terminare il mio testamento
lasciami il tempo di salutare
di riverire di ringraziare
tutti gli artefici del girotondo
intorno al letto di un moribondo

signor becchino mi ascolti un poco
il suo lavoro a tutti non piace
non lo consideran tanto un bel gioco
coprir di terra chi riposa in pace

ed è per questo che io mi onoro
nel consegnarle la vanga d’oro
ed è per questo che io mi onoro
nel consegnarle la vanga d’oro

per quella candida vecchia contessa
che non si muove più dal mio letto
per estirparmi l’insana promessa
di riservarle i miei numeri al lotto

non vedo l’ora di andar fra i dannati
per rivelarglieli tutti sbagliati
non vedo l’ora di andar fra i dannati
per rivelarglieli tutti sbagliati

quando la morte mi chiederà
di restituirle la libertà
forse una lacrima forse una sola
sulla mia tomba si spenderà
forse un sorriso forse uno solo
dal mio ricordo germoglierà

se dalla carne mia già corrosa
dove il mio cuore ha battuto un tempo
dovesse nascere un giorno una rosa
la do alla donna che mi offrì il suo pianto

per ogni palpito del suo cuore
le rendo un petalo rosso d’amore
per ogni palpito del suo cuore
le rendo un petalo rosso d’amore

a te che fosti la più contesa
la cortigiana che non si dà a tutti
ed ora all’angolo di quella chiesa
offri le immagini ai belli ed ai brutti

lascio le note di questa canzone
canto il dolore della tua illusione
a te che sei costretta per tirare avanti
costretta a vendere Cristo e i santi

quando la morte mi chiamerà
nessuno al mondo si accorgerà
che un uomo è morto senza parlare
senza sapere la verità
che un uomo è morto senza pregare
fuggendo il peso della pietà

cari fratelli dell’altra sponda
cantammo in coro giù sulla terra
amammo tutti l’identica donna
partimmo in mille per la stessa guerra
questo ricordo non vi consoli
quando si muore si muore si muore soli
questo ricordo non vi consoli
quando si muore si muore soli.

Nell’acqua della chiara fontana
Nell’acqua della chiara fontana
lei tutta nuda si bagnava
quando un soffio di tramontana
le sue vesti in cielo portava

Dal folto dei capelli mi chiese
per rivestirla di cercare
i rami di cento mimose
e ramo con ramo intrecciare

Volli coprire le sue spalle
tutte di petali di rosa
ma il suo seno era così minuto
che fu sufficiente una rosa

Cercai ancora nella vigna
perché a metà non fosse spoglia
ma i suoi fianchi eran così minuti
che fu sufficiente una foglia

le braccia lei mi tese allora
per ringraziarmi un po’ stupita
io la presi con tanto ardore
che fu nuovamente svestita

Il gioco divertì la graziosa
che molto spesso alla fontana
ritornò pregando Dio
in un soffio di tramontana

La ballata del Michè
Quando hanno aperto la cella
era già tardi perché
con una corda al collo
freddo pendeva Michè

tutte le volte che un gallo
sento cantar penserò
a quella notte in prigione
quando Michè s’impiccò

stanotte Michè
s’è impiccato a un chiodo perché
non voleva restare vent’anni in prigione
lontano da te

nel buio Michè se n’è andato sapendo che a te
non poteva mai dire che aveva ammazzato
soltanto per te

io so che Michè
ha voluto morire perché
ti restasse il ricordo del bene profondo
che aveva per te

vent’anni gli avevano dato
la corte decise così
perché un giorno aveva ammazzato
chi voleva rubargli Marì

l’avevan perciò condannato
vent’anni in prigione a marcir
però adesso che lui s’è impiccato
la porta gli devono aprir

se pure Michè
non ti ha scritto spiegando perché
se n’è andato dal mondo tu sai che l’ha fatto
soltanto per te

domani alle tre
nella fossa comune sarà
senza il prete e la messa perché d’un suicida
non hanno pietà

domani Michè
nella terra bagnata sarà
e qualcuno una croce col nome la data
su lui pianterà
e qualcuno una croce col nome e la data
su lui pianterà

Il re fa rullare i tamburi (canzone popolare francese del XIV secolo)
Il re fa rullare i tamburi
Il re fa rullare i tamburi
vuol sceglier fra le dame
un nuovo e fresco amore

ed è la prima che ha veduto
che gli ha rapito il cuore
marchese la conosci tu
marchese la conosci tu
chi è quella graziosa ?

ed il marchese disse al re
” maestà è la mia sposa ”

tu sei più felice di me
tu sei più felice di me
d’aver dama si bella
signora si compita

se tu vorrai cederla a me
sarà la favorita
signore se non foste il re
signore se non foste il re

v’intimerei prudenza
ma siete il sire siete il re
vi devo l’obbedienza
marchese vedrai passerà
marchese vedrai passerà

d’amor la sofferenza
io ti farò nelle mie armate
maresciallo di Francia”

“addio per sempre mia gioia ”
“addio per sempre mia bella ”
“addio dolce amore”
“devi lasciarmi per il re”
“ed io ti lascio il cuore”

la regina ha raccolto dei fiori
la regina ha raccolto dei fiori
celando la sua offesa
ed il profumo di quei fiori
uccise la marchesa.


NUVOLE BAROCCHE (1969)

Nuvole barocche
Poi un’altra giornata di luce
poi un altro di questi tramonti
e portali colonne fontane.

Tu mi hai insegnato a vivere
insegnami a partir.

Ma il cielo è tutto rosso
di nuvole barocche
sul fiume che si sciacqua
sotto l’ultimo sole.

E mentre soffio a soffio
le spinge lo scirocco
sussurra un altro invito
che dice di restare.

Poi carezze lusinghe abbandoni
poi quegli occhi di verde dolcezza
mille e una di queste promesse.

Tu mi hai insegnato il sogno
io voglio la realtà.

E mentre soffio a soffio
le spinge lo scirocco
sussurra un altro invito
che dice devi amare
che dice devi amare.

E fu la notte
E fu la notte
la notte per noi
notte profonda
sul nostro amore.

E fu la fine
di tutto per noi
resta il passato
e niente di più.

Ma se ti dico:
“non t’amo più”
sono sicuro
di non dire il vero.

E fu la notte
la notte per noi
buio e silenzio
son scesi su noi.

E fu la notte
la notte per noi
buio e silenzio
son scesi su noi..

Delitto di paese
Non tutti nella capitale
sbocciano i fiori del male,
qualche assassinio senza pretese
lo abbiamo anche noi in paese.

Qualche assassinio senza pretese
lo abbiamo anche noi qui in paese.

Aveva il capo tutto bianco
ma il cuore non ancor stanco
gli ritornò a battere in fretta
per una giovinetta.

Gli ritornò a battere in fretta
per una giovinetta.

Ma la sua voglia troppo viva
subito gli esauriva,
in quattro baci e una carezza
l’ultima giovinezza.

In quattro baci e una carezza
l’ultima giovinezza.

Quando la mano lei gli tese
triste lui le rispose,
d’essere povero in bolletta
lei si rivestì in fretta.

D’essere povero in bolletta
lei si rivestì in fretta.

E andò a cercare il suo compagno
partecipe del guadagno
e ritornò col protettore
dal vecchio truffatore.

E ritornò col protettore
dal vecchio truffatore.

Mentre lui fermo lo teneva
sei volte lo accoltellava
dicon che quando lui spirò
la lingua lei gli mostrò.

Dicon che quando lui spirò
la lingua lei gli mostrò.

Misero tutto sotto sopra
senza trovare un soldo
ma solo un mucchio di cambiali
e di atti giudiziari.

Ma solo un mucchio di cambiali
e di atti giudiziari.

Allora presi dallo sconforto
e dal rimpianto del morto,
si inginocchiaron sul poveruomo
chiedendogli perdono.

Si inginocchiaron sul poveruomo
chiedendogli perdono.

Quando i gendarmi sono entrati
piangenti li han trovati
fu qualche lacrima sul viso
a dargli il paradiso.

Fu qualche lacrima sul viso
a dargli il paradiso.

E quando furono impiccati
volarono fra i beati
qualche beghino di questo fatto
fu poco soddisfatto.

Qualche beghino di questo fatto
fu poco soddisfatto.
Non tutti nella capitale
sbocciano i fiori del male,
qualche assassinio senza pretese
lo abbiamo anche noi in paese.

Qualche assassinio senza pretese
lo abbiamo anche noi qui in paese.

Valzer per un amore
Quando carica d’anni e di castità
tra i ricordi e le illusioni
del bel tempo che non ritornerà,
troverai le mie canzoni,
nel sentirle ti meraviglierai
che qualcuno abbia lodato

le bellezze che allor più non avrai
e che avesti nel tempo passato

ma non ti servirà il ricordo,
non ti servirà
che per piangere il tuo rifiuto
del mio amore che non tornerà.

Ma non ti servirà più a niente,
non ti servirà
che per piangere sui tuoi occhi
che nessuno più canterà.

Ma non ti servirà più a niente,
non ti servirà
che per piangere sui tuoi occhi
che nessuno più canterà.

Vola il tempo lo sai che vola e va,
forse non ce ne accorgiamo
ma più ancora del tempo che non ha età,
siamo noi che ce ne andiamo

e per questo ti dico amore, amor
io t’attenderò ogni sera,
ma tu vieni non aspettare ancor,
vieni adesso finché è primavera.

Per i tuoi larghi occhi
Per i tuoi larghi occhi,
per i tuoi larghi occhi chiari
che non piangono mai,
che non piangono mai.

E perché non mi hai dato
che un addio tanto breve,
perché dietro a quegli occhi
batte un cuore di neve.

Io ti dico che mai
il ricordo che in me lascerai
sarà stretto al mio cuore
da un motivo d’amore.

Non pensarlo perché
tutto quel che ricordo di te,
di quegli attimi amari,
sono i tuoi occhi chiari.

I tuoi larghi occhi
che restavan lontani
anche quando io sognavo,
anche mentre ti amavo.

……………………………

E se tu tornerai
t’amero come sempre ti amai,
come un bel sogno inutile
che si scorda al mattino.

Ma i tuoi larghi occhi,
i tuoi larghi occhi chiari
anche se non verrai
non li scorderò mai.

Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers
Re Carlo tornava dalla guerra
lo accoglie la sua terra
cingendolo d’allor

al sol della calda primavera
lampeggia l’armatura
del sire vincitor

il sangue del principe del Moro
arrossano il ciniero
d’identico color

ma più che del corpo le ferite
da Carlo son sentite
le bramosie d’amor

“se ansia di gloria e sete d’onore
spegne la guerra al vincitore
non ti concede un momento per fare all’amore

chi poi impone alla sposa soave di castità
la cintura in me grave
in battaglia può correre il rischio di perder la chiave”

così si lamenta il Re cristiano
s’inchina intorno il grano
gli son corona i fior

lo specchi di chiara fontanella
riflette fiero in sella
dei Mori il vincitor

Quand’ecco nell’acqua si compone
mirabile visione
il simbolo d’amor

nel folto di lunghe trecce bionde
il seno si confonde
ignudo in pieno sol

“Mai non fu vista cosa più bella
mai io non colsi siffatta pulzella”
disse Re Carlo scendendo veloce di sella

“De’ cavaliere non v’accostate
già d’altri è gaudio quel che cercate
ad altra più facile fonte la sete calmate”

Sorpreso da un dire sì deciso
sentendosi deriso
Re Carlo s’arrestò

ma più dell’onor potè il digiuno
fremente l’elmo bruno
il sire si levò

codesta era l’arma sua segreta
da Carlo spesso usata
in gran difficoltà

alla donna apparve un gran nasone
e un volto da caprone
ma era sua maestà

“Se voi non foste il mio sovrano”
Carlo si sfila il pesante spadone
“non celerei il disio di fuggirvi lontano,

ma poiché siete il mio signore”
Carlo si toglie l’intero gabbione
“debbo concedermi spoglia ad ogni pudore”

Cavaliere egli era assai valente
ed anche in quel frangente
d’onor si ricoprì

e giunto alla fin della tenzone
incerto sull’arcione
tentò di risalir

veloce lo arpiona la pulzella
repente la parcella
presenta al suo signor

“Beh proprio perché voi siete il sire
fan cinquemila lire
è un prezzo di favor”

“E’ mai possibile o porco di un cane
che le avventure in codesto reame
debban risolversi tutte con grandi puttane,

anche sul prezzo c’è poi da ridire
ben mi ricordo che pria di partire
v’eran tariffe inferiori alle tremila lire”

Ciò detto agì da gran cialtrone
con balzo da leone
in sella si lanciò

frustando il cavallo come un ciuco
fra i glicini e il sambuco
il Re si dileguò

Re Carlo tornava dalla guerra
lo accoglie la sua terra
cingendolo d’allor

al sol della calda primavera
lampeggia l’armatura
del sire vincitor

Il fannullone
– Senza pretesa di voler strafare
io dormo al giorno quattordici ore
anche per questo nel mio rione
godo la fama di fannullone

ma non si sdegni la brava gente
se nella vita non riesco a far niente. –

Tu vaghi per le strade quasi tutta la notte
sognando mille favole di gloria e di vendette
racconti le tue storie a pochi uomini ormai stanchi
che ridono fissandoti con vuoti sguardi bianchi

tu reciti una parte fastidiosa alla gente
facendo della vita una commedia divertente.

– Ho anche provato a lavorare
senza risparmio mi diedi da fare
ma il sol risultato dell’esperimento
fu della fame un tragico aumento

non si risenta la gente per bene
se non mi adatto a portar le catene. –

Ti diedero lavoro in un grande ristorante
a lavare gli avanzi della gente elegante
ma tu dicevi – il cielo è la mia unica fortuna
e l’acqua dei piatti non rispecchia la luna –

tornasti a cantar storie lungo strade di notte
sfidando il buon umore delle tue scarpe rotte.

– Non sono poi quel cagnaccio malvagio
senza morale straccione e randagio
che si accontenta di un osso bucato
con affettuoso disprezzo gettato

al fannullone sa battere il cuore
il cane randagio ha trovato il suo amore. –

Pensasti al matrimonio come al giro di una danza
amasti la tua donna come un giorno di vacanza
hai preso la tua casa per rifugio alla tua fiacca
per un attaccapanni a cui appendere la giacca

e la tua dolce sposa consolò la sua tristezza
cercando tra la gente chi le offrisse tenerezza.

– È andata via senza fare rumore
forse cantando una storia d’amore
la raccontava ad un mondo ormai stanco
che camminava distratto al suo fianco

lei tornerà in una notte d’estate
l’applaudiranno le stelle incantate

rischiareranno dall’alto i lampioni
la strana danza di due fannulloni
la luna avrà dell’argento il colore
sopra la schiena dei gatti in amore. –

Canzone dell’amore perduto
Ricordi sbocciavan le viole
con le nostre parole
“Non ci lasceremo mai, mai e poi mai”,

vorrei dirti ora le stesse cose
ma come fan presto, amore, ad appassire le rose
così per noi

l’amore che strappa i capelli è perduto ormai,
non resta che qualche svogliata carezza
e un po’ di tenerezza.

E quando ti troverai in mano
quei fiori appassiti al sole
di un aprile ormai lontano,
li rimpiangerai

ma sarà la prima che incontri per strada
che tu coprirai d’oro per un bacio mai dato,
per un amore nuovo.

E sarà la prima che incontri per strada
che tu coprirai d’oro per un bacio mai dato,
per un amore nuovo.

GEORDIE
Uomo
Mentre attraversavo London Bridge
un giorno senza sole
vidi una donna pianger d’amore,
piangeva per il suo Geordie.

Donna
Impiccheranno Geordie con una corda d’oro,
è un privilegio raro.
Rubò sei cervi nel parco del re
vendendoli per denaro.

Uomo
Sellate il suo cavallo dalla bianca criniera
sellatele il suo pony
cavalcherà fino a Londra stasera
ad implorare per Geordie

Donna
Geordie non rubò mai neppure per me
un frutto o un fiore raro.
Rubò sei cervi nel parco del re
vendendoli per denaro.

Insieme
Salvate le sue labbra, salvate il suo sorriso,
non ha vent’anni ancora
cadrà l’inverno anche sopra il suo viso,
potrete impiccarlo allora

Uomo
Nè il cuore degli inglesi nè lo scettro del re
Geordie potran salvare,
anche se piangeran con te
la legge non può cambiare.

Insieme
Così lo impiccheranno con una corda d’oro,
è un privilegio raro.

Uomo
Rubò sei cervi nel parco del re
vendendoli per denaro.


IL PESCATORE (1970)

All’ombra dell’ultimo sole
s’era assopito un pescatore
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso.

Venne alla spiaggia un assassino
due occhi grandi da bambino
due occhi enormi di paura
eran gli specchi di un’avventura.

E chiese al vecchio dammi il pane
ho poco tempo e troppa fame
e chiese al vecchio dammi il vino
ho sete e sono un assassino.

Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno
non si guardò neppure intorno
ma versò il vino e spezzò il pane
per chi diceva ho sete e ho fame.

E fu il calore di un momento
poi via di nuovo verso il vento
davanti agli occhi ancora il sole
dietro alle spalle un pescatore.

Dietro alle spalle un pescatore
e la memoria è già dolore
è già il rimpianto di un aprile
giocato all’ombra di un cortile.

Vennero in sella due gendarmi
vennero in sella con le armi
chiesero al vecchio se lì vicino
fosse passato un assassino.

Ma all’ombra dell’ultimo sole
s’era assopito il pescatore
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso.


LA BUONA NOVELLA (1970)

Laudate Dominum

L’infanzia di Maria
Coro:
Laudate dominum
Laudate dominum
Laudate dominum

Voce:
Forse fu all’ora terza forse alla nona
cucito qualche giglio sul vestitino alla buona
forse fu per bisogno o peggio per buon esempio
presero i tuoi tre anni e li portarono al tempio
presero i tuoi tre anni e li portarono al tempio.

Non fu più il seno di Anna fra le mura discrete
a consolare il pianto a calmarti la sete
dicono fosse un angelo a raccontarti le ore
a misurarti il tempo fra cibo e Signore
a misurarti il tempo fra cibo e Signore.

Coro:
Scioglie la neve al sole ritorna l’acqua al mare
il vento e la stagione ritornano a giocare
ma non per te bambina che nel tempio resti china
ma non per te bambina che nel tempio resti china.

Voce:
E quando i sacerdoti ti rifiutarono alloggio
avevi dodici anni e nessuna colpa addosso
ma per i sacerdoti fu colpa il tuo maggio
la tua verginità che si tingeva di rosso
la tua verginità che si tingeva di rosso.

E si vuol dar marito a chi non lo voleva
si batte la campagna si fruga la via
popolo senza moglie uomini d’ogni leva
del corpo d’una vergine si fa lotteria
del corpo d’una vergine si fa lotteria.

Coro:
Sciogli i capelli e guarda già vengono…
Guardala guardala scioglie i capelli
sono più lunghi dei nostri mantelli
guarda la pelle viene la nebbia
risplende il sole come la neve
guarda le mani guardale il viso
sembra venuta dal paradiso
guarda le forme la proporzione
sembra venuta per tentazione.
Guardala guardala scioglie i capelli
sono più lunghi dei nostri mantelli
guarda le mani guardale il viso
sembra venuta dal paradiso
guardale gli occhi guarda i capelli
guarda le mani guardale il collo
guarda la carne guarda il suo viso
guarda i capelli del paradiso
guarda la carne guardale il collo
sembra venuta dal suo sorriso
guardale gli occhi guarda la neve guarda la carne del paradiso.

Voce:
E fosti tu Giuseppe un reduce del passato
falegname per forza padre per professione
a vederti assegnata da un destino sgarbato
una figlia di più senza alcuna ragione
una bimba su cui non avevi intenzione.

E mentre te ne vai stanco d’essere stanco
la bambina per mano la tristezza di fianco
pensi “Quei sacerdoti la diedero in sposa
a dita troppo secche per chiudersi su una rosa
a un cuore troppo vecchio che ormai si riposa”.

Secondo l’ordine ricevuto Giuseppe portò la bambina nella propria casa
e subito se ne partì per dei lavori che lo attendevano fuori dalla Giudea.
Rimase lontano quattro anni.

Il ritorno di Giuseppe
Stelle, già dal tramonto,
si contendono il cielo a frotte,
luci meticolose
nell’insegnarti la notte.

Un asino dai passi uguali,
compagno del tuo ritorno,
scandisce la distanza
lungo il morire del giorno.

Ai tuoi occhi, il deserto,
una distesa di segatura,
minuscoli frammenti
della fatica della natura.

Gli uomini della sabbia
hanno profili da assassini,
rinchiusi nei silenzi
d’una prigione senza confini.

Odore di Gerusalemme,
la tua mano accarezza il disegno
d’una bambola magra,
intagliata del legno.

“La vestirai, Maria,
ritornerai a quei giochi
lasciati quando i tuoi anni
erano così pochi.”

E lei volò fra le tue braccia
come una rondine,
e le sue dita come lacrime,
dal tuo ciglio alla gola,
suggerivano al viso,
una volta ignorato,
la tenerezza d’un sorriso,
un affetto quasi implortato.

E lo stupore nei tuoi occhi
salì dalle tue mani
che vuote intorno alle sue spalle,
si colmarono ai fianchi
della forma precisa
d’una vita recente,
di quel segreto che si svela
quando lievita il ventre.

E a te, che cercavi il motivo
d’un inganno inespresso dal volto,
lei propose l’inquieto ricordo
fra i resti d’un sogno raccolto.

Il sogno di Maria
“Nel Grembo umido, scuro del tempio,
l’ombra era fredda, gonfia d’incenso;
l’angelo scese, come ogni sera,
ad insegnarmi una nuova preghiera:
poi, d’improvviso, mi sciolse le mani
e le mie braccia divennero ali,
quando mi chiese – Conosci l’estate –
io, per un giorno, per un momento,
corsi a vedere il colore del vento.

Volammo davvero sopra le case,
oltre i cancelli, gli orti, le strade,
poi scivolammo tra valli fiorite
dove all’ulivo si abbraccia la vite.

Scendemmo là, dove il giorno si perde
a cercarsi da solo nascosto tra il verde,
e lui parlò come quando si prega,
ed alla fine d’ogni preghiera
contava una vertebra della mia schiena.

(… e l’ angelo disse: “Non
temere, Maria, infatti hai
trovato grazia presso il
Signore e per opera Sua
concepirai un figlio…)

Le ombre lunghe dei sacerdoti
costrinsero il sogno in un cerchio di voci.
Con le ali di prima pensai di scappare
ma il braccio era nudo e non seppe volare:
poi vidi l’angelo mutarsi in cometa
e i volti severi divennero pietra,
le loro braccia profili di rami,
nei gesti immobili d’un altra vita,
foglie le mani, spine le dita.

Voci di strada, rumori di gente,
mi rubarono al sogno per ridarmi al presente.
Sbiadì l’immagine, stinse il colore,
ma l’eco lontana di brevi parole
ripeteva d’un angelo la strana preghiera
dove forse era sogno ma sonno non era

– Lo chiameranno figlio di Dio –
Parole confuse nella mia mente,
svanite in un sogno, ma impresse nel ventre.”

E la parola ormai sfinita
si sciolse in pianto,
ma la paura dalle labbra
si raccolse negli occhi
semichiusi nel gesto
d’una quiete apparente
che si consuma nell’attesa
d’uno sguardo indulgente.

E tu, piano, posati le dita
all’orlo della sua fronte:
i vecchi quando accarezzano
hanno il timore di far troppo forte.

Ave Maria
E te ne vai, Maria, fra l’altra gente
che si raccoglie intorno al tuo passare,
siepe di sguardi che non fanno male
nella stagione di essere madre.

Sai che fra un’ora forse piangerai
poi la tua mano nasconderà un sorriso:
gioia e dolore hanno il confine incerto
nella stagione che illumina il viso.

Ave Maria, adesso che sei donna,
ave alle donne come te, Maria,
femmine un giorno per un nuovo amore
povero o ricco, umile o Messia.

Femmine un giorno e poi madri per sempre
nella stagione che stagioni non sente.

Maria nella bottega d’un falegname
Maria:
“Falegname col martello
perché fai den den?
Con la pialla su quel legno
perché fai fren fren?
Costruisci le stampelle
per chi in guerra andò?
Dalla Nubia sulle mani
a casa ritornò?”

Il falegname:
“Mio martello non colpisce,
pialla mia non taglia
per foggiare gambe nuove
a chi le offrì in battaglia,
ma tre croci, due per chi
disertò per rubare,
la più grande per chi guerra
insegnò a disertare”.

La gente:
“Alle tempie addormentate
di questa città
pulsa il cuore di un martello,
quando smetterà?
Falegname, su quel legno,
quanti corpi ormai,
quanto ancora con la pialla
lo assottiglierai?”

Maria:
“Alle piaghe, alle ferite
che sul legno fai,
falegname su quei tagli
manca il sangue, ormai,
perché spieghino da soli,
con le loro voci,
quali volti sbiancheranno
sopra le tue croci”.

Il falegname:
“Questi ceppi che han portato
perché il mio sudore
li trasformi nell’immagine
di tre dolori,
vedran lacrime di Dimaco
e di Tito al ciglio
il più grande che tu guardi
abbraccerà tuo figlio”.

La gente:
“Dalla strada alla montagna
sale il tuo den den
ogni valle di Giordania
impara il tuo fren fren;
qualche gruppo di dolore
muove il passo inquieto,
altri aspettan di far bere
a quelle seti aceto”.

Via della croce
“Poterti smembrare coi denti e le mani,
sapere i tuoi occhi bevuti dai cani,
di morire in croce puoi essere grato
a un brav’uomo di nome Pilato.”

Ben più della morte che oggi ti vuole,
t’uccide il veleno di queste parole:
le voci dei padri di quei neonati,
da Erode per te trucidati.

Nel lugubre scherno degli abiti nuovi
misurano a gocce il dolore che provi;
trent’anni hanno atteso col fegato in mano,
i rantoli d’un ciarlatano.

Si muovono curve le vedove in testa,
per loro non è un pomeriggio di festa;
si serran le vesti sugli occhi e sul cuore
ma filtra dai veli il dolore:

fedeli umiliate da un credo inumano
che le volle schiave già prima di Abramo,
con riconoscenza ora soffron la pena
di chi perdonò a Maddalena,

di chi con un gesto soltanto fraterno
una nuova indulgenza insegnò al Padreterno,
e guardano in alto, trafitti dal sole,
gli spasimi d’un redentore.

Confusi alla folla ti seguono muti,
sgomenti al pensiero che tu li saluti:
“A redimere il mondo” gli serve pensare,
il tuo sangue può certo bastare.

La semineranno per mare e per terra
tra boschi e città la tua buona novella,
ma questo domani, con fede migliore,
stasera è più forte il terrore.

Nessuno di loro ti grida un addio
per esser scoperto cugino di Dio:
gli apostoli han chiuso le gole alla voce,
fratello che sanguini in croce.

Han volti distesi, già inclini al perdono,
ormai che han veduto il tuo sangue di uomo
fregiarti le membra di rivoli viola,
incapace di nuocere ancora.

Il potere vestito d’umana sembianza,
ormai ti considera morto abbastanza
e già volge lo sguardo a spiar le intenzioni
degli umili, degli straccioni.

Ma gli occhi dei poveri piangono altrove,
non sono venuti a esibire un dolore
che alla via della croce ha proibito l’ingresso
a chi ti ama come se stesso.

Sono pallidi al volto, scavati al torace,
non hanno la faccia di chi si compiace
dei gesti che ormai ti propone il dolore,
eppure hanno un posto d’onore.

Non hanno negli occhi scintille di pena.
Non sono stupiti a vederti la schiena
piegata dal legno che a stento trascini,
eppure ti stanno vicini.

Perdonali se non ti lasciano solo,
se sanno morir sulla croce anche loro,
a piangerli sotto non han che le madri,
in fondo, son solo due ladri.

Tre madri
Madre di Tito:
“Tito, non sei figlio di Dio,
ma c’è chi muore nel dirti addio”.

Madre di Dimaco:
“Dimaco, ignori chi fu tuo padre,
ma più di te muore tua madre”.

Le due madri:
“Con troppe lacrime piangi, Maria,
solo l’immagine d’un’agonia:
sai che alla vita, nel terzo giorno,
il figlio tuo farà ritorno:
lascia noi piangere, un po’ più forte,
chi non risorgerà più dalla morte”.

Madre di Gesù:
“Piango di lui ciò che mi è tolto,
le braccia magre, la fronte, il volto,
ogni sua vita che vive ancora,
che vedo spegnersi ora per ora.

Figlio nel sangue, figlio nel cuore,
e chi ti chiama – Nostro Signore -,
nella fatica del tuo sorriso
cerca un ritaglio di Paradiso.

Per me sei figlio, vita morente,
ti portò cieco questo mio ventre,
come nel grembo, e adesso in croce,
ti chiama amore questa mia voce.

Non fossi stato figlio di Dio
t’avrei ancora per figlio mio”.

Il testamento di Tito
Tito:
“Non avrai altro Dio all’infuori di me,
spesso mi ha fatto pensare:
genti diverse venute dall’est
dicevan che in fondo era uguale.

Credevano a un altro diverso da te
e non mi hanno fatto del male.
Credevano a un altro diverso da te
e non mi hanno fatto del male.

Non nominare il nome di Dio,
non nominarlo invano.
Con un coltello piantato nel fianco
gridai la mia pena e il suo nome:

ma forse era stanco, forse troppo occupato,
e non ascoltò il mio dolore.
Ma forse era stanco, forse troppo lontano,
davvero lo nominai invano.

Onora il padre, onora la madre
e onora anche il loro bastone,
bacia la mano che ruppe il tuo naso
perché le chiedevi un boccone:

quando a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore.
Quanto a mio padre si fermò il cuore
non ho provato dolore.

Ricorda di santificare le feste.
Facile per noi ladroni
entrare nei templi che riguargitan salmi
di schiavi e dei loro padroni

senza finire legati agli altari
sgozzati come animali.
Senza finire legati agli altari
sgozzati come animali.

Il quinto dice non devi rubare
e forse io l’ho rispettato
vuotando, in silenzio, le tasche già gonfie
di quelli che avevan rubato:

ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri nel nome di Dio.
Ma io, senza legge, rubai in nome mio,
quegli altri nel nome di Dio.

Non commettere atti che non siano puri
cioè non disperdere il seme.
Feconda una donna ogni volta che l’ami
così sarai uomo di fede:

Poi la voglia svanisce e il figlio rimane
e tanti ne uccide la fame.
Io, forse, ho confuso il piacere e l’amore:
ma non ho creato dolore.

Il settimo dice non ammazzare
se del cielo vuoi essere degno.
Guardatela oggi, questa legge di Dio,
tre volte inchiodata nel legno:

guardate la fine di quel nazzareno
e un ladro non muore di meno.
Guardate la fine di quel nazzareno
e un ladro non muore di meno.

Non dire falsa testimonianza
e aiutali a uccidere un uomo.
Lo sanno a memoria il diritto divino,
e scordano sempre il perdono:

ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e no, non ne provo dolore.
Ho spergiurato su Dio e sul mio onore
e no, non ne provo dolore.

Non desiderare la roba degli altri
non desiderarne la sposa.
Ditelo a quelli, chiedetelo ai pochi
che hanno una donna e qualcosa:

nei letti degli altri già caldi d’amore
non ho provato dolore.
L’invidia di ieri non è già finita:
stasera vi invidio la vita.

Ma adesso che viene la sera ed il buio
mi toglie il dolore dagli occhi
e scivola il sole al di là delle dune
a violentare altre notti:

io nel vedere quest’uomo che muore,
madre, io provo dolore.
Nella pietà che non cede al rancore,
madre, ho imparato l’amore”.

Laudate hominem
Laudate dominum
Laudate dominum

Gli umili, gli straccioni:
“Il potere che cercava
il nostro umore
mentre uccideva
nel nome d’un dio,
nel nome d’un dio
uccideva un uomo:
nel nome di quel dio
si assolse.

Poi, poi chiamò dio
poi chiamo dio
poi chiamò dio quell’uomo
e nel suo nome
nuovo nome
altri uomini,
altri, altri uomini
uccise “.

Non voglio pensarti figlio di Dio
ma figlio dell’uomo, fratello anche mio.

Laudate dominum
Laudate dominum

Ancora una volta
abbracciamo
la fede
che insegna ad avere
ad avere il diritto
al perdono, perdono
sul male commesso
nel nome d’un dio
che il male non volle, il male non volle,
finché
restò uomo
uomo.

Non posso pensarti figlio di Dio
ma figlio dell’uomo, fratello anche mio.

Qualcuno
qualcuno
tentò di imitarlo
se non ci riuscì
fu scusato
anche lui
perdonato
perché non s’imita
imita un dio,
un dio va temuto e lodato
lodato…

Laudate hominem
No, non devo pensarti figlio di Dio
ma figlio dell’uomo, fratello anche mio.
Ma figlio dell’uomo, fratello anche mio.
Laudate hominem.


NON AL DENARO NON ALL’AMORE NÉ AL CIELO (1971)

Dormono sulla collina
Dove se n’è andato Elmer
che di febbre si lasciò morire
Dov’è Herman bruciato in miniera.

Dove sono Bert e Tom
il primo ucciso in una rissa
e l’altro che uscì già morto di galera.

E cosa ne sarà di Charley
che cadde mentre lavorava
dal ponte volò e volò sulla strada.

Dormono, dormono sulla collina
dormono, dormono sulla collina.

Dove sono Ella e Kate
morte entrambe per errore
una di aborto, l’altra d’amore.

E Maggie uccisa in un bordello
dalle carezze di un animale
e Edith consumata da uno strano male.

E Lizzie che inseguì la vita
lontano, e dall’Inghilterra
fu riportata in questo palmo di terra.

Dormono, dormono sulla collina
dormono, dormono sulla collina.

Dove sono i generali
che si fregiarono nelle battaglie
con cimiteri di croci sul petto

dove i figli della guerra
partiti per un ideale
per una truffa, per un amore finito male

hanno rimandato a casa
le loro spoglie nelle barriere
legate strette perché sembrassero intere.

Dormono, dormono sulla collina
dormono, dormono sulla collina.

Dov’è Jones il suonatore
che fu sorpreso dai suoi novant’anni
e con la vita avrebbe ancora giocato.

Lui che offrì la faccia al vento
la gola al vino e mai un pensiero
non al denaro, non all’amore né al cielo.

Lui sì sembra di sentirlo
cianciare ancora delle porcate
mangiate in strada nelle ore sbagliate

sembra di sentirlo ancora
dire al mercante di liquore
“Tu che lo vendi cosa ti compri di migliore?”

Un matto (dietro ogni scemo c’è un villaggio)
Tu prova ad avere un mondo nel cuore
e non riesci ad esprimerlo con le parole,
e la luce del giorno si divide la piazza
tra un villaggio che ride e te, lo scemo, che passa,
e neppure la notte ti lascia da solo:
gli altri sognan se stessi e tu sogni di loro

E sì, anche tu andresti a cercare
le parole sicure per farti ascoltare:
per stupire mezz’ora basta un libro di storia,
io cercai di imparare la Treccani a memoria,
e dopo maiale, Majakowsky, malfatto,
continuarono gli altri fino a leggermi matto.

E senza sapere a chi dovessi la vita
in un manicomio io l’ho restituita:
qui sulla collina dormo malvolentieri
eppure c’è luce ormai nei miei pensieri,
qui nella penombra ora invento parole
ma rimpiango una luce, la luce del sole.

Le mie ossa regalano ancora alla vita:
le regalano ancora erba fiorita.
Ma la vita è rimasta nelle voci in sordina
di chi ha perso lo scemo e lo piange in collina;
di chi ancora bisbiglia con la stessa ironia
“Una morte pietosa lo strappò alla pazzia”.

Un giudice
Cosa vuol dire avere
un metro e mezzo di statura,
ve lo rivelan gli occhi
e le battute della gente,
o la curiosità
d’una ragazza irriverente
che vi avvicina solo
per un suo dubbio impertinente:

vuole scoprir se è vero
quanto si dice intorno ai nani,
che siano i più forniti
della virtù meno apparente,
fra tutte le virtù
la più indecente.

Passano gli anni, i mesi,
e se li conti anche i minuti,
è triste trovarsi adulti
senza essere cresciuti;
la maldicenza insiste,
batte la lingua sul tamburo
fino a dire che un nano
è una carogna di sicuro
perché ha il cuore troppo
troppo vicino al buco del culo.

Fu nelle notti insonni
vegliate al lume del rancore
che preparai gli esami
diventai procuratore
per imboccar la strada
che dalle panche d’una cattedrale
porta alla sacrestia
quindi alla cattedra d’un tribunale
giudice finalmente,
arbitro in terra del bene e del male.

E allora la mia statura
non dispensò più buonumore
a chi alla sbarra in piedi
mi diceva “Vostro Onore”,
e di affidarli al boia
fu un piacere del tutto mio,
prima di genuflettermi
nell’ora dell’addio
non conoscendo affatto
la statura di Dio.

Un blasfemo (dietro ogni blasfemo c’è un giardino incantato)
Mai più mi chinai e nemmeno su un fiore,
più non arrossii nel rubare l’amore
dal momento che Inverno mi convinse che Dio
non sarebbe arrossito rubandomi il mio.

Mi arrestarono un giorno per le donne ed il vino,
non avevano leggi per punire un blasfemo,
non mi uccise la morte, ma due guardie bigotte,
mi cercarono l’anima a forza di botte.

Perché dissi che Dio imbrogliò il primo uomo,
lo costrinse a viaggiare una vita da scemo,
nel giardino incantato lo costrinse a sognare,
a ignorare che al mondo c’e’ il bene e c’è il male.

Quando vide che l’uomo allungava le dita
a rubargli il mistero di una mela proibita
per paura che ormai non avesse padroni
lo fermò con la morte, inventò le stagioni.

… mi cercarono l’anima a forza di botte…

E se furon due guardie a fermarmi la vita,
è proprio qui sulla terra la mela proibita,
e non Dio, ma qualcuno che per noi l’ha inventato,
ci costringe a sognare in un giardino incantato,
ci costringe a sognare in un giardino incantato
ci costringe a sognare in un giardino incantato.

Un medico
Da bambino volevo guarire i ciliegi
quando rossi di frutti li credevo feriti
la salute per me li aveva lasciati
coi fiori di neve che avevan perduti.

Un sogno, fu un sogno ma non durò poco
per questo giurai che avrei fatto il dottore
e non per un dio ma nemmeno per gioco:
perché i ciliegi tornassero in fiore,
perché i ciliegi tornassero in fiore.

E quando dottore lo fui finalmente
non volli tradire il bambino per l’uomo
e vennero in tanti e si chiamavano “gente”
ciliegi malati in ogni stagione.

E i colleghi d’accordo i colleghi contenti
nel leggermi in cuore tanta voglia d’amare
mi spedirono il meglio dei loro clienti
con la diagnosi in faccia e per tutti era uguale:
ammalato di fame incapace a pagare.

E allora capii fui costretto a capire
che fare il dottore è soltanto un mestiere
che la scienza non puoi regalarla alla gente
se non vuoi ammalarti dell’identico male,
se non vuoi che il sistema ti pigli per fame.

E il sistema sicuro è pigliarti per fame
nei tuoi figli in tua moglie che ormai ti disprezza,
perciò chiusi in bottiglia quei fiori di neve,
l’etichetta diceva: elisir di giovinezza.

E un giudice, un giudice con la faccia da uomo
mi spedì a sfogliare i tramonti in prigione
inutile al mondo ed alle mie dita
bollato per sempre truffatore imbroglione
dottor professor truffatore imbroglione.

Un malato di cuore
“Cominciai a sognare anch’io insieme a loro
poi l’anima d’improvviso prese il volto.”

Da ragazzo spiare i ragazzi giocare
al ritmo balordo del tuo cuore malato
e ti viene la voglia di uscire e provare
che cosa ti manca per correre al prato,
e ti tieni la voglia, e rimani a pensare
come diavolo fanno a riprendere fiato.

Da uomo avvertire il tempo sprecato
a farti narrare la vita dagli occhi
e mai poter bere alla coppa d’un fiato
ma a piccoli sorsi interrotti,
e mai poter bere alla coppa d’un fiato
ma a piccoli sorsi interrotti.

Eppure un sorriso io l’ho regalato
e ancora ritorna in ogni sua estate
quando io la guidai o fui forse guidato
a contarle i capelli con le mani sudate.

Non credo che chiesi promesse al suo sguardo,
non mi sembra che scelsi il silenzio o la voce,
quando il cuore stordì e ora no, non ricordo
se fu troppo sgomento o troppo felice,
e il cuore impazzì e ora no, non ricordo,
da quale orizzonte sfumasse la luce.

E fra lo spettacolo dolce dell’erba
fra lunghe carezze finite sul volto,
quelle sue cosce color madreperla
rimasero forse un fiore non colto.

Ma che la baciai questo sì lo ricordo
col cuore ormai sulle labbra,
ma che la baciai, per Dio, sì lo ricordo,
e il mio cuore le restò sulle labbra.

“E l’anima d’improvviso prese il volo
ma non mi sento di sognare con loro
no non si riesce di sognare con loro.”

Un chimico
Solo la morte m’ha portato in collina
un corpo fra i tanti a dar fosforo all’aria
per bivacchi di fuochi che dicono fatui
che non lasciano cenere, non sciolgon la brina.
Solo la morte m’ha portato in collina.

Da chimico un giorno avevo il potere
di sposare gli elementi e di farli reagire,
ma gli uomini mai mi riuscì di capire
perché si combinassero attraverso l’amore.
Affidando ad un gioco la gioia e il dolore.

Guardate il sorriso guardate il colore
come giocan sul viso di chi cerca l’amore:
ma lo stesso sorriso lo stesso colore
dove sono sul viso di chi ha avuto l’amore.
Dove sono sul viso di chi ha avuto l’amore.

È strano andarsene senza soffrire,
senza un volto di donna da dover ricordare.
Ma è forse diverso il vostro morire
vuoi che uscite all’amore che cedete all’aprile.
Cosa c’è di diverso nel vostro morire.

Primavera non bussa lei entra sicura
come il fumo lei penetra in ogni fessura
ha le labbra di carne i capelli di grano
che paura, che voglia che ti prenda per mano.
Che paura, che voglia che ti porti lontano.

Ma guardate l’idrogeno tacere nel mare
guardate l’ossigeno al suo fianco dormire:
soltanto una legge che io riesco a capire
ha potuto sposarli senza farli scoppiare.
Soltanto la legge che io riesco a capire.

Fui chimico e, no, non mi volli sposare.
Non sapevo con chi e chi avrei generato:
Son morto in un esperimento sbagliato
proprio come gli idioti che muoion d’amore.
E qualcuno dirà che c’è un modo migliore.

Un ottico
Prima parte:
Daltonici, presbiti, mendicanti di vista
il mercante di luce, il vostro oculista,
ora vuole soltanto clienti speciali
che non sanno che farne di occhi normali.

Non più ottico ma spacciatore di lenti
per improvvisare occhi contenti,
perché le pupille abituate a copiare
inventino i mondi sui quali guardare.
Seguite con me questi occhi sognare,
fuggire dall’orbita e non voler ritornare.

Seconda parte:
Primo cliente – Vedo che salgo a rubare il sole
per non aver più notti,
perché non cada in reti di tramonto,
l’ho chiuso nei miei occhi,
e chi avrà freddo
lungo il mio sguardo si dovrà scaldare.

Secondo cliente – Vedo i fiumi dentro le mie vene,
cercano il loro mare,
rompono gli argini,
trovano cieli da fotografare.
Sangue che scorre senza fantasia
porta tumori di malinconia.

Terzo cliente – Vedo gendarmi pascolare
donne chine sulla rugiada,
rosse le lingue al polline dei fiori
ma dov’è l’ape regina?
Forse è volata ai nidi dell’aurora,
forse volata, forse più non vola.

Quarto cliente – Vedo gli amici ancora sulla strada,
loro non hanno fretta,
rubano ancora al sonno l’allegria
all’alba un po’ di notte:
e poi la luce, luce che trasforma
il mondo in un giocattolo.

Faremo gli occhiali così!
Faremo gli occhiali così!

Il suonatore Jones
In un vortice di polvere
gli altri vedevan siccità,
a me ricordava
la gonna di Jenny
in un ballo di tanti anni fa.

Sentivo la mia terra
vibrare di suoni, era il mio cuore
e allora perché coltivarla ancora,
come pensarla migliore.

Libertà l’ho vista dormire
nei campi coltivati
a cielo e denaro,
a cielo ed amore,
protetta da un filo spinato.

Libertà l’ho vista svegliarsi
ogni volta che ho suonato
per un fruscio di ragazze
a un ballo,
per un compagno ubriaco.

E poi se la gente sa,
e la gente lo sa che sai suonare,
suonare ti tocca
per tutta la vita
e ti piace lasciarti ascoltare.

Finii con i campi alle ortiche
finii con un flauto spezzato
e un ridere rauco
ricordi tanti
e nemmeno un rimpianto.


STORIA DI UN IMPIEGATO (1973)

Introduzione
Lottavano così come si gioca
i cuccioli del maggio era normale
loro avevano il tempo anche per la galera
ad aspettarli fuori rimaneva
la stessa rabbia la stessa primavera…

Canzone del maggio
Anche se il nostro maggio
ha fatto a meno del vostro coraggio
se la paura di guardare
vi ha fatto chinare il mento
se il fuoco ha risparmiato
le vostre Millecento
anche se voi vi credete assolti
siete lo stesso coinvolti.

E se vi siete detti
non sta succedendo niente,
le fabbriche riapriranno,
arresteranno qualche studente
convinti che fosse un gioco
a cui avremmo giocato poco
provate pure a credervi assolti
siete lo stesso coinvolti.

Anche se avete chiuso
le vostre porte sul nostro muso
la notte che le “pantere”
ci mordevano il sedere
lasciandoci in buonafede
massacrare sui marciapiedi
anche se ora ve ne fregate,
voi quella notte voi c’eravate.

E se nei vostri quartieri
tutto è rimasto come ieri,
senza le barricate
senza feriti, senza granate,
se avete preso per buone
le “verità” della televisione
anche se allora vi siete assolti
siete lo stesso coinvolti.

E se credete ora
che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.

La bomba in testa
….e io contavo i denti ai francobolli
dicevo “grazie a Dio” “buon Natale”
mi sentivo normale
eppure i miei trent’anni
erano pochi più dei loro
ma non importa adesso torno al lavoro.

Cantavano il disordine dei sogni
gli ingrati del benessere francese
e non davan l’idea
di denunciare uomini al balcone
di un solo maggio, di un unico paese,

e io la faccia usata dal buonsenso
ripeto “Non vogliamoci del male”
e non mi sento normale
e mi sorprendo ancora
a misurarmi su di loro
e adesso è tardi, adesso torno al lavoro.

Rischiavano la strada e per un uomo
ci vuole pure un senso a sopportare
di poter sanguinare
e il senso non dev’essere rischiare
ma forse non voler più sopportare.

Chissà cosa si prova a liberare
la fiducia nelle proprie tentazioni,
allontanare gli intrusi
dalle nostre emozioni,
allontanarli in tempo
e prima di trovarti solo
con la paura di non tornare al lavoro.

Rischiare libertà strada per strada,
scordarsi le rotaie verso casa,
io ne valgo la pena,
per arrivare ad incontrar la gente
senza dovermi fingere innocente.

Mi sforzo di ripetermi con loro
e più l’idea va di là del vetro
più mi lasciano indietro,
per il coraggio insieme
non so le regole del gioco
senza la mia paura mi fido poco.

Ormai sono in ritardo per gli amici
per l’odio potrei farcela da solo
illuminando al tritolo
chi ha la faccia e mostra solo il viso
sempre gradevole, sempre più impreciso.

E l’esplosivo spacca, taglia, fruga
tra gli ospiti di un ballo mascherato,
io mi sono invitato
a rilevar l’impronta
dietro ogni maschera che salta
e a non aver pietà per la mia prima volta.

Al ballo mascherato
Cristo drogato da troppe sconfitte
cede alla complicità
di Nobel che gli espone la praticità
di un’eventuale premio della bontà.
Maria ignorata da un Edipo ormai scaltro
mima una sua nostalgia di natività,
io con la mia bomba porto la novità,
la bomba che debutta in società,
al ballo mascherato della celebrità.

Dante alla porta di Paolo e Francesca
spia chi fa meglio di lui:
lì dietro si racconta un amore normale
ma lui saprà poi renderlo tanto geniale.
E il viaggio all’inferno ora fallo da solo
con l’ultima invidia lasciata là sotto un lenzuolo,
sorpresa sulla porta d’una felicità
la bomba ha risparmiato la normalità,
al ballo mascherato della celebrità.

La bomba non ha una natura gentile
ma spinta da imparzialità
sconvolge l’improbabile intimità
di un’apparente statua della Pietà.
Grimilde di Manhattan, statua della libertà,
adesso non ha più rivali la tua vanità
e il gioco dello specchio non si ripeterà
“Sono più bella io o la statua della Pietà”
dopo il ballo mascherato del celebrità.

Nelson strappato al suo carnevale
rincorre la sua identità
e cerca la sua maschera, l’orgoglio, lo stile,
impegnati sempre a vincere e mai a morire.
Poi dalla feluca ormai a brandelli
tenta di estrarre il coniglio della sua Trafalgar
e nella sua agonia, sparsa di qua, di là,
implora una Sant’Elena anche in comproprietà,
al ballo mascherato della celebrità.

Mio padre pretende aspirina ed affetto
e inciampa nella sua autorità,
affida a una vestaglia il suo ultimo ruolo
ma lui esplode dopo, prima il suo decoro.
Mia madre si approva in frantumi di specchio,
dovrebbe accettare la bomba con serenità,
il martirio è il suo mestiere, la sua vanità,
ma ora accetta di morire soltanto a metà
la sua parte ancora viva le fa tanta pietà,
al ballo mascherato della celebrità.

Qualcuno ha lasciato la luna nel bagno
accesa soltanto a metà
quel poco che mi basta per contare i caduti,
stupirmi della loro fragilità,
e adesso puoi togliermi i piedi dal collo
amico che m’hai insegnato il “come si fa”
se no ti porto indietro di qualche minuto
ti metto a conversare, ti ci metto seduto
tra Nelson e la statua della Pietà,
al ballo mascherato della celebrità.

Sogno numero due
Imputato ascolta,
noi ti abbiamo ascoltato.
Tu non sapevi
di avere una coscienza al fosforo
piantata tra l’aorta e l’intenzione,
noi ti abbiamo osservato
dal primo battere del cuore
fino ai ritmi più brevi
dell’ultima emozione
quando uccidevi,
favorendo il potere
i soci vitalizi del potere
ammucchiati in discesa
a difesa
della loro celebrazione.

E se tu la credevi vendetta
il fosforo di guardia
segnalava la tua urgenza di potere
mentre ti emozionavi
nel ruolo più eccitante della legge
quello che non protegge
la parte del boia.

Imputato,
il dito più lungo della tua mano
è il medio
quello della mia
è l’indice,
eppure anche tu hai giudicato.
Hai assolto e hai condannato
al di sopra di me,
ma al di sopra di me,
per quello che hai fatto,
per come lo hai rinnovato
il potere ti è grato.

Ascolta
una volta un giudice come me
giudicò chi gli aveva dettato la legge:
prima cambiarono il giudice
e subito dopo
la legge.

Oggi, un giudice come me,
lo chiede al potere se può giudicare.
Tu sei il potere.
Vuoi essere giudicato?
Vuoi essere assolto o condannato?

Canzone del padre
– “Vuoi davvero lasciare ai tuoi occhi
solo i sogni che non fanno svegliare”.
– “Sì, Vostro Onore, ma li voglio più grandi.”
– “C’è lì un posto, lo ha lasciato tuo padre.
Non dovrai che restare sul ponte
e guardare le altre navi passare
le più piccole dirigile al fiume
le più grandi sanno già dove andare.”
Così son diventato mio padre
ucciso in un sogno precedente
il tribunale mi ha dato fiducia
assoluzione e delitto lo stesso movente.

E ora Berto, figlio della Lavandaia,
compagno di scuola, preferisce imparare
a contare sulle antenne dei grilli
non usa mai bolle di sapone per giocare;
seppelliva sua madre in un cimitero di lavatrici
avvolta in un lenzuolo quasi come gli eroi;
si fermò un attimo per suggerire a Dio
di continuare a farsi i fatti suoi
e scappò via con la paura di arrugginire
il giornale di ieri lo dà morto arrugginito,
i becchini ne raccolgono spesso
fra la gente che si lascia piovere addosso.

Ho investito il denaro e gli affetti
banca e famiglia danno rendite sicure,
con mia moglie si discute l’amore
ci sono distanze, non ci sono paure,
ma ogni notte lei mi si arrende più tardi
vengono uomini, ce n’è uno più magro,
ha una valigia e due passaporti,
lei ha gli occhi di una donna che pago.
Commissario io ti pago per questo,
lei ha gli occhi di una donna che è mia,
l’uomo magro ha le mani occupate,
una valigia di ciondoli, un foglio di via.

Non ha più la faccia del suo primo hashish
è il mio ultimo figlio, il meno voluto,
ha pochi stracci dove inciampare
non gli importa d’alzarsi, neppure quando è caduto:
e i miei alibi prendono fuoco
il Guttuso ancora da autenticare
adesso le fiamme mi avvolgono il letto
questi i sogni che non fanno svegliare.
Vostro Onore, sei un figlio di troia,
mi sveglio ancora e mi sveglio sudato,
ora aspettami fuori dal sogno
ci vedremo davvero,
io ricomincio da capo.

Il bombarolo
Chi va dicendo in giro
che odio il mio lavoro
non sa con quanto amore
mi dedico al tritolo,
è quasi indipendente
ancora poche ore
poi gli darò la voce
il detonatore.

Il mio Pinocchio fragile
parente artigianale
di ordigni costruiti
su scala industriale
di me non farà mai
un cavaliere del lavoro,
io son d’un’altra razza,
son bombarolo.

Nello scendere le scale
ci metto più attenzione,
sarebbe imperdonabile
giustiziarmi sul portone
proprio nel giorno in cui
la decisione è mia
sulla condanna a morte
o l’amnistia.

Per strada tante facce
non hanno un bel colore,
qui chi non terrorizza
si ammala di terrore,
c’è chi aspetta la pioggia
per non piangere da solo,
io son d’un altro avviso,
son bombarolo.

Intellettuali d’oggi
idioti di domani
ridatemi il cervello
che basta alle mie mani,
profeti molto acrobati
della rivoluzione
oggi farò da me
senza lezione.

Vi scoverò i nemici
per voi così distanti
e dopo averli uccisi
sarò fra i latitanti
ma finché li cerco io
i latitanti sono loro,
ho scelto un’altra scuola,
son bombarolo.

Potere troppe volte
delegato ad altre mani,
sganciato e restituitoci
dai tuoi aeroplani,
io vengo a restituirti
un po’ del tuo terrore
del tuo disordine
del tuo rumore.

Così pensava forte
un trentenne disperato
se non del tutto giusto
quasi niente sbagliato,
cercando il luogo idoneo
adatto al suo tritolo,
insomma il posto degno
d’un bombarolo.

C’è chi lo vide ridere
davanti al Parlamento
aspettando l’esplosione
che provasse il suo talento,
c’è chi lo vide piangere
un torrente di vocali
vedendo esplodere
un chiosco di giornali.

Ma ciò che lo ferì
profondamente nell’orgoglio
fu l’immagine di lei
che si sporgeva da ogni foglio
lontana dal ridicolo
in cui lo lasciò solo,
ma in prima pagina
col bombarolo.

Verranno a chiederti del nostro amore
Quando in anticipo sul tuo stupore
verranno a chiederti del nostro amore
a quella gente consumata nel farsi dar retta
un amore così lungo
tu non darglielo in fretta,
non spalancare le labbra a un ingorgo di parole
le tue labbra così frenate nelle fantasie dell’amore
dopo l’amore così sicure a rifugiarsi nei “sempre”
nell’ipocrisia dei “mai”
non son riuscito a cambiarti
non mi hai cambiato lo sai.

E dietro ai microfoni porteranno uno specchio
per farti più bella e pensarmi già vecchio
tu regalagli un trucco che con me non portavi
e loro si stupiranno
che tu non mi bastavi,
digli pure che il potere io l’ho scagliato dalle mani
dove l’amore non era adulto e ti lasciavo graffi sui seni
per ritornare dopo l’amore
alle carezze dell’amore
era facile ormai
non sei riuscita a cambiarmi
non ti ho cambiata lo sai.

Digli che i tuoi occhi me li han ridati sempre
come fiori regalati a maggio e restituiti in novembre
i tuoi occhi come vuoti a rendere per chi ti ha dato lavoro
i tuoi occhi assunti da tre anni
i tuoi occhi per loro,
ormai buoni per setacciare spiagge con la scusa del corallo
o per buttarsi in un cinema con una pietra al collo
e troppo stanchi per non vergognarsi
di confessarlo nei miei
proprio identici ai tuoi
sono riusciti a cambiarci
ci son riusciti lo sai.

Ma senza che gli altri ne sappiano niente
dimmi senza un programma dimmi come ci si sente
continuerai ad ammirarti tanto da volerti portare al dito
farai l’amore per amore
o per avercelo garantito,
andrai a vivere con Alice che si fa il whisky distillando fiori
o con un Casanova che ti promette di presentarti ai genitori
o resterai più semplicemente
dove un attimo vale un altro
senza chiederti come mai,
continuerai a farti scegliere
o finalmente sceglierai.

Nella mia ora di libertà
Di respirare la stessa aria
di un secondino non mi va
perciò ho deciso di rinunciare
alla mia ora di libertà
se c’è qualcosa da spartire
tra un prigioniero e il suo piantone
che non sia l’aria di quel cortile
voglio soltanto che sia prigione
che non sia l’aria di quel cortile
voglio soltanto che sia prigione.

È cominciata un’ora prima
e un’ora dopo era già finita
ho visto gente venire sola
e poi insieme verso l’uscita
non mi aspettavo un vostro errore
uomini e donne di tribunale
se fossi stato al vostro posto…
ma al vostro posto non ci so stare
se fossi stato al vostro posto…
ma al vostro posto non ci sono stare.

Fuori dell’aula sulla strada
ma in mezzo al fuori anche fuori di là
ho chiesto al meglio della mia faccia
una polemica di dignità
tante le grinte, le ghigne, i musi,
vagli a spiegare che è primavera
e poi lo sanno ma preferiscono
vederla togliere a chi va in galera
e poi lo sanno ma preferiscono
vederla togliere a chi va in galera.

Tante le grinte, le ghigne, i musi,
poche le facce, tra loro lei,
si sta chiedendo tutto in un giorno
si suggerisce, ci giurerei
quel che dirà di me alla gente
quel che dirà ve lo dico io
da un po’ di tempo era un po’ cambiato
ma non nel dirmi amore mio
da un po’ di tempo era un po’ cambiato
ma non nel dirmi amore mio.

Certo bisogna farne di strada
da una ginnastica d’obbedienza
fino ad un gesto molto più umano
che ti dia il senso della violenza
però bisogna farne altrettanta
per diventare così coglioni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni
da non riuscire più a capire
che non ci sono poteri buoni.

E adesso imparo un sacco di cose
in mezzo agli altri vestiti uguali
tranne qual’è il crimine giusto
per non passare da criminali.
Ci hanno insegnato la meraviglia
verso la gente che ruba il pane
ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame
ora sappiamo che è un delitto
il non rubare quando si ha fame.

Di respirare la stessa aria
dei secondini non ci va
abbiamo deciso di imprigionarli
durante l’ora di libertà
venite adesso alla prigione
state a sentire sulla porta
la nostra ultima canzone
che vi ripete un’altra volta
per quanto voi vi crediate assolti
siete lo stesso coinvolti.
Per quanto voi vi crediate assolti
siete lo stesso coinvolti.


CANZONI (1974)

Via della povertà
Il Salone di bellezza in fondo al vicolo
è affollatissimo di marinai
prova a chiedere a uno che ore sono
e ti risponderà “non l’ho saputo mai”.
Le cartoline dell’impiccagione
sono in vendita a cento lire l’una
il commissario cieco dietro la stazione
per un indizio ti legge la sfortuna
e le forze dell’ordine irrequiete
cercano qualcosa che non va
mentre io e la mia signora ci affacciamo stasera
su via della Povertà.

Cenerentola sembra così facile
ogni volta che sorride ti cattura
ricorda proprio Bette Davis
con le mani appoggiate alla cintura.
Arriva Romeo trafelato
e le grida “il mio amore sei tu”
ma qualcuno gli dice di andar via
e di non riprovarci più
e l’unico suono che rimane
quando l’ambulanza se ne va
è Cenerentola che spazza la strada
in via della Povertà.

Mentre l’alba sta uccidendo la luna
e le stelle si son quasi nascoste
la signora che legge la fortuna
se n’è andata in compagnia dell’oste.
Ad eccezione di Abele e di Caino
tutti quanti sono andati a far l’amore
aspettando che venga la pioggia
ad annacquare la gioia ed il dolore
e il Buon Samaritano
sta affilando la sua pietà
se ne andrà al Carnevale stasera
in via della Povertà.

I tre Re Magi sono disperati
Gesù Bambino è diventato vecchio
e Mister Hyde piange sconcertato
vedendo Jeckyll che ride nello specchio.
Ofelia è dietro la finestra
mai nessuno le ha detto che è bella
a soli ventidue anni
è già una vecchia zitella
la sua morte sarà molto romantica
trasformandosi in oro se ne andrà
per adesso cammina avanti e indietro
in via della Povertà.

Einstein travestito da ubriacone
ha nascosto i suoi appunti in un baule
è passato di qui un’ora fa
diretto verso l’ultima Thule,
sembrava così timido e impaurito
quando ha chiesto di fermarsi un po’ qui
ma poi ha cominciato a fumare
e a recitare l’A B C
ed a vederlo tu non lo diresti mai
ma era famoso qualche tempo fa
per suonare il violino elettrico
in via della Povertà.

Ci si prepara per la grande festa
c’è qualcuno che comincia ad aver sete
il fantasma dell’opera
si è vestito in abiti da prete
sta ingozzando a viva forza Casanova
per punirlo della sua sensualità
lo ucciderà parlandogli d’amore
dopo averlo avvelenato di pietà
e mentre il fantasma grida
tre ragazze si son spogliate già
Casanova sta per essere violentato
in via della Povertà.

E bravo Nettuno mattacchione
il Titanic sta affondando nell’aurora
nelle scialuppe i posti letto sono tutti occupati
e il capitano grida “ce ne stanno ancora”,
e Ezra Pound e Thomas Eliot
fanno a pugni nella torre di comando
i suonatori di calipso ridono di loro
mentre il cielo si sta allontanando
e affacciati alle loro finestre nel mare
tutti pescano mimose e lillà
e nessuno deve più preoccuparsi
di via della Povertà.

A mezzanotte in punto i poliziotti
fanno il loro solito lavoro
metton le manette intorno ai polsi
a quelli che ne sanno più di loro,
i prigionieri vengon trascinati
su un calvario improvvisato lì vicino
e il caporale Adolfo li ha avvisati
che passeranno tutti dal camino
e il vento ride forte
e nessuno riuscirà a ingannare il suo destino
in via della Povertà.

La tua lettera l’ho avuta proprio ieri
mi racconti tutto quel che fai
ma non essere ridicola
non chiedermi “come stai”,
questa gente di cui mi vai parlando
è gente come tutti noi
non mi sembra che siano mostri
non mi sembra che siano eroi
e non mandarmi ancora tue notizie
nessuno ti risponderà
se insisti a spedirmi le tue lettere
da via della Povertà.

Desolation row (Bob Dylan)
They’re selling postcards of the hanging
They’re painting the passports brown.
The beauty parlor’s filled with sailors.
The circus is in town.
Here comes the blind commissoner.
They’ve got him in a trance.
One hand’s tied to the tightrope walker.
The other is in his pants.
And the riot squad they’re restless
They need somewhere to go.
As lady and I look out tonight
From Desolation Row.

Cinderella she seem so easy.
It takes one to know one she smiles.
Then puts her hand in her back pocket,
Betty Davis style.
Then in comes Romeo he’s moaning.
You belong to me I believe.
And someone says you’re in the wrong place my friend
You better leave.
And the only sound that’s left
After the ambulances go.
Is Cinderella sweeping up
On Desolation Row.

Now the moon is almost hidden
The stars are beginning to hide
The fortune telling lady
Has already taken all her things inside.
All except for Cain and Abel
And the hunchback of Notre Dame
Everyone is making love
Or else expecting rain
And the good samaritan he’s dressing
He’s gettin ready for the show.
He’s going to the carnival
Tonight on Desolation Row.

Now Ophelia she’s ‘neath the window.
For her I feel so afraid.
On her twenty-second birthday
She already is an old maid.
To her death is quite romantic.
She wears an iron vest.
Her profession’s her religion,
Her sin is her lifelessness.
And though her eyes are fixed upon
Noah’s great rainbow
She spends her time peeking
Into Desolation Row.

Einstein disguised as Robin Hood
With his memories in a trunk
Passed this way an hour ago
With his friend a jealous monk.
He looked so immaculately frightful
As he bummed a cigarette
Then he went off sniffing drainpipes
And reciting the alphabet.
Now you would not think to look at him
That he was famous long ago
For playing the electric violin
On Desolation Row.

Doctor filth he keeps his word
Inside a leather cup
But all his sexless patients
Are trying to blow it up.
Now his nurse a local looser
She’s in charge of the cyanide hole
And she also keeps the cards that read
“Have mercy on his soul”
They all play on penny whistles
You can hear them blow
If you lean your head out far enough
From Desolation Row

Across the street they’ve nailed the curtains
They’re gettin ready for the feast
The phantom of the opera
A perfect image of a priest
They’re spoonfeeding Casonova
To get him to feel more assured
Then they’ll killed him with self confidence
After poisoning him with words
And the phantom shouting to skinning girls
“Get outa here don’t you know
Casanova is just being punished
For going to Desolation Row”.

Now at midnight all the agents
And the superhuman crew
Come out and round up everyone
That knows more than they do.
Then they bring them to the factory
Where the heart attack machine
Is strapped across their shoulders
And then the kerosene
Is brought down from the castles
By insurance men who go
Check to see that nobody is escaping
To Desolation Row

Praise be to Nero’s Neptune
The Titanic sails at dawn
And everybody shouting
“Which side are you on?”
And Ezra Pound and T.S. Eliot
Fighting in the captain’s tower
While calypso singers laugh at them
And fishermen hold flowers
Between the windows of the sea
Where lovely mermaids flow
And nobody has to think too much
About Desolation Row

Yes I received your letter yesterday
(About the time the door knob broke)
When you asked me how I was doing
Was that some kind of joke?
All these people that you mention
Yes, I know them, they’re quite lame.
I had to rearrange their faces
And give them all another name
Right now I can’t read too good
Don’t send me no more letters no.
Not unless you mail them from
Desolation Row

Le passanti
Io dedico questa canzone
ad ogni donna pensata come amore
in un attimo di libertà
a quella conosciuta appena
non c’era tempo e valeva la pena
di perderci un secolo in più.

A quella quasi da immaginare
tanto di fretta l’hai vista passare
dal balcone a un segreto più in là
e ti piace ricordarne il sorriso
che non ti ha fatto e che tu le hai deciso
in un vuoto di felicità.

Alla compagna di viaggio
i suoi occhi il più bel paesaggio
fan sembrare più corto il cammino
e magari sei l’unico a capirla
e la fai scendere senza seguirla
senza averle sfiorato la mano.

A quelle che sono già prese
e che vivendo delle ore deluse
con un uomo ormai troppo cambiato
ti hanno lasciato, inutile pazzia,
vedere il fondo della malinconia
di un avvenire disperato.

Immagini care per qualche istante
sarete presto una folla distante
scavalcate da un ricordo più vicino
per poco che la felicità ritorni
è molto raro che ci si ricordi
degli episodi del cammino.

Ma se la vita smette di aiutarti
è più difficile dimenticarti
di quelle felicità intraviste
dei baci che non si è osato dare
delle occasioni lasciate ad aspettare
degli occhi mai più rivisti.

Allora nei momenti di solitudine
quando il rimpianto diventa abitudine,
una maniera di viversi insieme,
si piangono le labbra assenti
di tutte le belle passanti
che non siamo riusciti a trattenere.

Les passantes (Georges Brassens)
Je veux dédier ce poème
A toutes les femmes qu’on aime
Pendant quelques instants secrets
A celles qu’on connait à peine
Qu’un destin différent entraîne
Et qu’on ne retrouve jamais

A celle qu’on voit apparaître
Une seconde à sa fenêtre
Et qui, preste, s’évanouit
Mais dont la svelte silhouette
Est si gracieuse et fluette
Qu’on en demeure épanoui

A la compagne de voyage
Dont les yeux, charmant paysage
Font paraître court le chemin
Qu’on est seul, peut-être, à comprendre
Et qu’on laisse pourtant descendre
Sans avoir effleuré sa main

A celles qui sont déjà prises
Et qui, vivant des heures grises
Près d’un être trop différent
Vous ont, inutile folie,
Laissé voir la mélancolie
D’un avenir désesperant

Chères images aperçues
Espérances d’un jour déçues
Vous serez dans l’oubli demain
Pour peu que le bonheur survienne
Il est rare qu’on se souvienne
Des épisodes du chemin

Mais si l’on a manqué sa vie
on songe avec un peu d’envie
A tous ces bonheurs entrevus
Aux baisers qu’on n’osa pas prendre
Aux coeurs qui doivent vous attendre
Aux yeux qu’on n’a jamais revus

Alors, aux soirs de lassitude
Tout en peuplant sa solitude
Des fantômes du souvenir
On pleure les lèvres absentes
De toutes ces belles passantes
Que l’on n’a pas su retenir

Fila la lana
Nella guerra di Valois
il Signor di Vly è morto,
se sia stato un prode eroe
non si sa, non è ancor certo.

Ma la dama abbandonata
lamentando la sua morte
per mill’anni e forse ancora
piangerà la triste sorte.

Fila la lana, fila i tuoi giorni
lluditi ancora che lui ritorni,
libro di dolci sogni d’amore
apri le pagine al suo dolore.

Son tornati a cento e a mille
i guerrieri di Valois,
son tornati alle famiglie,
ai palazzi alle città.

Ma la dama abbandonata
non ritroverà il suo amore
e il gran ceppo nel camino
non varrà a scaldarle il cuore.

Fila la lana, fila i tuoi giorni
illuditi ancora che lui ritorni,
libro di dolci sogni d’amore
apri le pagine al suo dolore.

Cavalieri che in battaglia
ignorate la paura
stretta sia la vostra maglia,
ben temprata l’armatura.

Al nemico che vi assalta
siate presti a dar risposta
perché dietro a quelle mura
vi s’attende senza sosta.

Fila la lana, fila i tuoi giorni
illuditi ancora che lui ritorni,
libro di dolci sogni d’amore
chiudi le pagine sul suo dolore.

Ballata dell’amore cieco (o della vanità)
Un uomo onesto, un uomo probo,
tralalalalla tralallaleru
s’innamorò perdutamente
d’una che non lo amava niente.

Gli disse portami domani,
tralalalalla tralallaleru
gli disse portami domani
il cuore di tua madre per i miei cani.

Lui dalla madre andò e l’uccise,
tralalalalla tralallaleru
dal petto il cuore le strappò
e dal suo amore ritornò.

Non era il cuore, non era il cuore,
tralalalalla tralallaleru
non le bastava quell’orrore,
voleva un’altra prova del suo cieco amore.

Gli disse amor se mi vuoi bene,
tralalalalla tralallaleru
gli disse amor se mi vuoi bene,
tagliati dei polsi le quattro vene.

Le vene ai polsi lui si tagliò,
tralalalalla tralallaleru
e come il sangue ne sgorgò
correndo come un matto da lei tornò.

Fuori soffiava dolce il vento
tralalalalla tralallaleru
ma lei fu presa da sgomento
quando lo vide morir contento.

Morir contento e innamorato
quando a lei nulla era restato
non il suo amore non il suo bene
ma solo il sangue secco delle sue vene.

Suzanne
Nel suo posto in riva al fiume
Suzanne ti ha voluto accanto
e ora ascolti andar le barche
ora vuoi dormirle accanto
si lo sai che lei è pazza
ma per questo sei con lei
e ti offre il the e le arance
che ha portato dalla Cina

e proprio mentre stai per dirle
che non hai niente da offrirle
lei è già sulla tua onda

e fa il fiume ti risponda
che da sempre siete amanti.

E tu vuoi viaggiarle insieme
vuoi viaggiarle insieme ciecamente
perchè sai che le hai toccato il corpo
il suo corpo perfetto con la mente.

E Gesù fu marinaio
finchè camminò sull’acqua
e restò per molto tempo a guardare solitario
dalla sua torre di legno
e poi quando fu sicuro
che soltanto agli annegati
fosse dato di vederlo
disse: Siate marinai finchè il mare vi libererà.

E lui stesso fu spezzato
ma più umano abbandonato
nella nostra mente
lui non naufragò.

E tu vuoi viaggiarle insieme
vuoi viaggiarle insieme ciecamente
forse avrai fiducia in lui
perchè ti ha toccato il corpo con la mente.

E Suzanne ti da la mano,
ti accompagna lungo il fiume,
porta addosso stracci e piume
presi in qualche dormitorio
il sole scende come miele
su di lei donna del porto
e ti indica i colori
tra la spazzatura e i fiori
scopri eroi tra le alghe marce
e bambini nel mattino
che si sporgono all’amore
e si sporgeranno sempre
e Suzanne regge lo specchio.

E tu vuoi viaggiarle insieme
vuoi viaggiarle insieme ciecamente
perchè sai che ti ha toccato il corpo
il suo corpo perfetto con la mente.

Suzanne (Leonard Cohen)
Suzanne takes you down to her place near the river
You can hear the boats go by
You can spend the night beside her
And you know that she’s half crazy
But that’s why you want to be there
And she feeds you tea and oranges
That come all the way from China

And just when you mean to tell her
That you have no love to give her
Then she gets you on her wavelength

And she lets the river answer
That you’ve always been her lover

And you want to travel with her
And you want to travel blind
And you know that she will trust you
Forr you’ve touched her perfect body with your mind.

And Jesus was a sailor
When he walked upon the water
And he spent a long time watching
From his lonely wooden tower
And when he knew for certain
Only drowning men could see him
He said “All men will be sailors then
Until the sea shall free them”

But he himself was broken
Long before the sky would open
Forsaken, almost human
He sank beneath your wisdom like a stone

And you want to travel with him
And you want to travel blind
And you think maybe you’ll trust him
For he’s touched your perfect body with his mind.

Now Suzanne takes your hand
And she leads you to the river
She is wearing rags and feathers
From Salvation Army counters
And the sun pours down like honey
On our lady of the harbour
And she shows you where to look
Among the garbage and the flowers
There are heroes in the seaweed
There are children in the morning
They are leaning out for love
And they will lean that way forever
While Suzanne holds the mirror

And you want to travel with her
And you want to travel blind
And you know that you can trust her
For she’s touched your perfect body with her mind..

Morire per delle idee
Morire per delle idee, l’idea è affascinante
per poco io morivo senza averla mai avuta,
perchè chi ce l’aveva, una folla di gente,
gridando “viva la morte” proprio addosso mi è caduta.

Mi avevano convinto e la mia musa insolente
abiurando i suoi errori, aderì alla loro fede
dicendomi peraltro in separata sede
moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta, va bè ma di morte lenta.

Approfittando di non essere fragilissimi di cuore
andiamo all’altro mondo bighellonando un poco
perchè forzando il passo succede che si muore
per delle idee che non han più corso il giorno dopo.

Ora se c’è una cosa amara, desolante
è quella di capire all’ultimo momento
che l’idea giusta era un’altra, un altro movimento
moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta
ma di morte lenta.

Gli apostoli di turno che apprezzano il martirio
lo predicano spesso per novant’anni almeno.

Morire per delle idee sarà il caso di dirlo
è il loro scopo di vivere, non sanno farne a meno.

E sotto ogni bandiera li vediamo superare
il buon matusalemme nella longevità
per conto mio si dicono in tutta intimità
moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta, va bè,
ma di morte lenta.

A chi va poi cercando verità meno fittizie
ogni tipo di setta offre moventi originali
e la scelta è imbarazzante per le vittime novizie
morire per delle idee è molto bello ma per quali.

E il vecchio che si porta già i fiori sulla tomba
vedendole venire dietro il grande stendardo
pensa “speriamo bene che arrivino in ritardo”
moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta, va bè,
ma di morte lenta

E voi gli sputafuoco, e voi i nuovi santi
crepate pure per primi noi vi cediamo il passo
però per gentilezza lasciate vivere gli altri
la vita è grosso modo il loro unico lusso
tanto più che la carogna è già abbastanza attenta
non c’è nessun bisogno di reggerle la falce
basta con le garrote in nome della pace
moriamo per delle idee, va bè, ma di morte lenta,
ma di morte lenta.

Mourir pour des idées (Georges Brassens)
Moi, j’ai failli mourir de ne l’avoir pas eue.
Car tous ceux qui l’avaient, multitude accablante
En hurlant à la mort me sont tombés dessus.

Ils ont su me convaincre et ma muse insolente
Abjurant ses erreurs se rallie à leur foi,
Avec un soupçon de réserve toutefois:
Mourons pour des idées, d’accord! Mais de mort lente,
D’accord, mais de mort lente.

Jugeant qu’il n’y a pas péril en la demeure
Allons vers l’autre monde en flânant en chemin,
Car, à forcer l’allure, il arrive qu’on meure
Pour des idées n’ayant plus cours le lendemain.

Or, s’il est une chose amère, désolante,
En rendant l’âme à Dieu c’est bien de constater
Qu’on a fait fausse route, qu’on s’est trompé d’idée,
Mourons pour des idées, d’accord! Mais de mort lente,
D’accord, mais de mort lente.

Les saint-jean-bouch’-d’or qui prêchent le martyre
Le plus souvent, d’ailleurs, s’attardent ici-bas;

Mourir pour des idées, c’est le cas de le dire,
C’est leur raison de vivre, ils ne s’en privent pas!

Dans presque tous les champs on en voit qui supplantent
Bientôt Mathusalem dans la longévité,
J’en conclus qu’ils doivent se dire en aparté:
“Mourons pour des idées, d’accord! Mais de mort lente,
D’accord, mais de mort lente!”

Des idées réclamant le fameux sacrifice
Les sectes de tout poil en offrent des séquelles…
Et la question se pose aux victimes novices:
Mourir pour des idées, c’est bien beau, mais lesquelles?

Et comme toutes sont entre elles ressemblantes,
Quand il les voit venir, avec leur gros drapeau,
Le sage, en hésitant, tourne autour du tombeau,
Mourons pour des idées, d’accord! Mais de mort lentem
D’accord, mais de mort lente.

Encore s’il suffisait de quelques hécatombes,
Pour qu’enfin tout changeât, qu’enfin tout s’arrangeât!
Depuis tant de grands soirs, que tant de têtes tombent,
Au paradis sur terre on y serait déjà.

Mais l’âge d’or sans cesse est remis aux calendes,
Les dieux ont toujours soif, n’en ont jamais assez,
Et c’est la mort, la mort toujours recommencée…
Mourons pour des idées, d’accord! Mais de mort lente,
D’accord, mais de mort lente.

O vous, les boutefeux, ô vous, les bons apôtres,
Mourez donc les premiers, nous vous cédons le pas!
Mais, de grâce, morbleu! Laissez vivre les autres!
La vie est à peu près leur seul luxe ici-bas;
Car, enfin, la Camarde est assez vigilante,
Elle n’a pas besoin qu’on lui tienne la faux!
Plus de danse macabre autour des échafauds!
Mourons pour des idées, d’accord! Mais de mort lente,
D’accord, mais de mort lente.

Canzone dell’amore perduto
Ricordi sbocciavan le viole
con le nostre parole
“Non ci lasceremo mai, mai e poi mai”,

vorrei dirti ora le stesse cose
ma come fan presto, amore, ad appassire le rose
così per noi

l’amore che strappa i capelli è perduto ormai,
non resta che qualche svogliata carezza
e un po’ di tenerezza.

E quando ti troverai in mano
quei fiori appassiti al sole
di un aprile ormai lontano,
li rimpiangerai

ma sarà la prima che incontri per strada
che tu coprirai d’oro per un bacio mai dato,
per un amore nuovo.

E sarà la prima che incontri per strada
che tu coprirai d’oro per un bacio mai dato,
per un amore nuovo.

La città vecchia
Nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi
ha già troppi impegni per scaldar la gente d’altri paraggi,
una bimba canta la canzone antica della donnaccia
quello che ancor non sai tu lo imparerai solo qui tra le mie braccia.

E se alla sua età le difetterà la competenza
presto affinerà le capacità con l’esperienza
dove sono andati i tempi di una volta per Giunone
quando ci voleva per fare il mestiere anche un po’ di vocazione.

Una gamba qua, una gamba là, gonfi di vino
quattro pensionati mezzo avvelenati al tavolino
li troverai là, col tempo che fa, estate e inverno
a stratracannare a stramaledire le donne, il tempo ed il governo.

Loro cercan là, la felicità dentro a un bicchiere
per dimenticare d’esser stati presi per il sedere
ci sarà allegria anche in agonia col vino forte
porteran sul viso l’ombra di un sorriso tra le braccia della morte.

Vecchio professore cosa vai cercando in quel portone
forse quella che sola ti può dare una lezione
quella che di giorno chiami con disprezzo pubblica moglie
quella che di notte stabilisce il prezzo alle tue voglie.

Tu la cercherai, tu la invocherai più di una notte
ti alzerai disfatto rimandando tutto al ventisette
quando incasserai delapiderai mezza pensione
diecimila lire per sentirti dire “micio bello e bamboccione”.

Se ti inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli
In quell’aria spessa carica di sale, gonfia di odori
lì ci troverai i ladri gli assassini e il tipo strano
quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano.

Se tu penserai, se giudicherai
da buon borghese
li condannerai a cinquemila anni più le spese
ma se capirai, se li cercherai fino in fondo
se non sono gigli son pur sempre figli
vittime di questo mondo.

Giovanna d’Arco
Attraverso il buio Giovanna d’Arco
precedeva le fiamme cavalcando
nessuna luna per la corazza ed il manto
nessun uomo nella sua fumosa notte al suo fianco.

Sono stanca della guerra ormai
al lavoro di un tempo tornerei
a un vestito da sposa o qualcosa di bianco
per nascondere questa mia vocazione al trionfo ed al pianto.

lalala lalala lalalalalala
lalala lalala lalalalalala

Son parole le tue che volevo ascoltare
ti ho spiata ogni giorno cavalcare
e a sentirti così ora so cosa voglio
vincere un’eroina così fredda, abbracciarne l’orgoglio.

E chi sei tu lei disse divertendosi al gioco,
chi sei tu che mi parli così senza riguardo,
veramente stai parlando col fuoco
e amo la tua solitudine, amo il tuo sguardo.

lalala lalala lalalalalala

E se tu sei il fuoco raffreddati un poco,
le tue mani ora avranno da tenere qualcosa,
e tacendo gli si arrampicò dentro
ad offrirgli il suo modo migliore di essere sposa.

E nel profondo del suo cuore rovente
lui prese ad avvolgere Giovanna d’Arco
e là in alto e davanti alla gente
lui appese le ceneri inutili del suo abito bianco.

lalala lalala lalalalalala

E fu dal profondo del suo cuore rovente
che lui prese Giovanna e la colpì nel segno
e lei capì chiaramente
che se lui era il fuoco lei doveva essere il legno.

Ho visto la smorfia del suo dolore,
ho visto la gloria nel suo sguardo raggiante
anche io vorrei luce ed amore
ma se arriva deve essere sempre così crudele e accecante.

lalalalalala

Joan of Arc (Leonard Cohen)
Now the flames they followed Joan of Arc
as she came riding through the dark;
no moon to keep her armour bright,
no man to get her through this very smoky night.

She said, “I’m tired of the war,
I want the kind of work I had before,
a wedding dress or something white
to wear upon my swollen appetite.”

Well, I’m glad to hear you talk this way,
you know I’ve watched you riding every day
and something in me yearns to win
such a cold and lonesome heroine.

“And who are you?” she sternly spoke
to the one beneath the smoke.
“Why, I’m fire,” he replied,
“And I love your solitude, I love your pride.”

“Then fire, make your body cold,
I’m going to give you mine to hold,”
saying this she climbed inside
to be his one, to be his only bride.

And deep into his fiery heart
he took the dust of Joan of Arc,
and high above the wedding guests
he hung the ashes of her wedding dress.

It was deep into his fiery heart
he took the dust of Joan of Arc,
and then she clearly understood
if he was fire, oh then she must be wood.

I saw her wince, I saw her cry,
I saw the glory in her eye.
Myself I long for love and light,
but must it come so cruel, and oh so bright?

Delitto di paese
Non tutti nella capitale
sbocciano i fiori del male,
qualche assassinio senza pretese
lo abbiamo anche noi in paese.

Qualche assassinio senza pretese
lo abbiamo anche noi qui in paese.

Aveva il capo tutto bianco
ma il cuore non ancor stanco
gli ritornò a battere in fretta
per una giovinetta.

Gli ritornò a battere in fretta
per una giovinetta.

Ma la sua voglia troppo viva
subito gli esauriva,
in quattro baci e una carezza
l’ultima giovinezza.

In quattro baci e una carezza
l’ultima giovinezza.

Quando la mano lei gli tese
triste lui le rispose,
d’essere povero in bolletta
lei si rivestì in fretta.

D’essere povero in bolletta
lei si rivestì in fretta.

E andò a cercare il suo compagno
partecipe del guadagno
e ritornò col protettore
dal vecchio truffatore.

E ritornò col protettore
dal vecchio truffatore.

Mentre lui fermo lo teneva
sei volte lo accoltellava
dicon che quando lui spirò
la lingua lei gli mostrò.

Dicon che quando lui spirò
la lingua lei gli mostrò.

Misero tutto sotto sopra
senza trovare un soldo
ma solo un mucchio di cambiali
e di atti giudiziari.

Ma solo un mucchio di cambiali
e di atti giudiziari.

Allora presi dallo sconforto
e dal rimpianto del morto,
si inginocchiaron sul poveruomo
chiedendogli perdono.

Si inginocchiaron sul poveruomo
chiedendogli perdono.

Quando i gendarmi sono entrati
piangenti li han trovati
fu qualche lacrima sul viso
a dargli il paradiso.

Fu qualche lacrima sul viso
a dargli il paradiso.

E quando furono impiccati
volarono fra i beati
qualche beghino di questo fatto
fu poco soddisfatto.

Qualche beghino di questo fatto
fu poco soddisfatto.
Non tutti nella capitale
sbocciano i fiori del male,
qualche assassinio senza pretese
lo abbiamo anche noi in paese.

Qualche assassinio senza pretese
lo abbiamo anche noi qui in paese.

L’assassinat (Georges Brassens)
C’est pas seulement à Paris
Que le crime fleurit,
Nous au village aussi l’on a
De beaux assassinats. (bis)

Il avait la tête chenu’
Et le coeur ingénu,
Il eut un retour de printemps
Pour une de vingt ans. (bis)

Mais la chair fraîch’, la tendre chair,
Mon vieux, ça coûte cher:
Au bout de cinq à six baisers
Son or fut épuisé. (bis)

Quand sa menotte elle a tendu’
Triste il a répondu
Qu’il était pauvre comme Job,
Elle a remis sa rob’. (bis)

Elle alla quérir son coquin
Qui avait l’appât du gain,
Sont revenus chez le grigou
Fair’ un bien mauvais coup. (bis)

Et pendant qu’il le lui tenait
Elle l’assassinait,
On dit que, quand il expira,
La langue ell’ lui montra. (bis)

Mirent tout sens dessus dessous,
Trouvèrent pas un sou,
Mais des lettres de créanciers,
Mais des saisies d’huissiers. (bis)

Alors, prise d’un vrai remords
Elle eut chagrin du mort,
Et, sur lui, tombant à genoux,
Ell’ dit “Pardonne nous!” (bis)

Quand les gendarmes sont arrivés
En pleurs ils l’ont trouvé’,
C’est une larme au fond des yeux
Qui lui valut les cieux. (bis)

Et le matin qu’on la pendit
Ell’ fut en Paradis,
Certains dévots depuis ce temps
Sont un peu mécontents. (bis)

C’est pas seulement à Paris
Que le crime fleurit,
Nous, au village aussi l’on a
De beaux assassinats. (bis)

Valzer per un amore
Quando carica d’anni e di castità
tra i ricordi e le illusioni
del bel tempo che non ritornerà,
troverai le mie canzoni,
nel sentirle ti meraviglierai
che qualcuno abbia lodato

le bellezze che allor più non avrai
e che avesti nel tempo passato

ma non ti servirà il ricordo,
non ti servirà
che per piangere il tuo rifiuto
del mio amore che non tornerà.

Ma non ti servirà più a niente,
non ti servirà
che per piangere sui tuoi occhi
che nessuno più canterà.

Ma non ti servirà più a niente,
non ti servirà
che per piangere sui tuoi occhi
che nessuno più canterà.

Vola il tempo lo sai che vola e va,
forse non ce ne accorgiamo
ma più ancora del tempo che non ha età,
siamo noi che ce ne andiamo

e per questo ti dico amore, amor
io t’attenderò ogni sera,
ma tu vieni non aspettare ancor,
vieni adesso finché è primavera.


VOL. 8 (1975)

La cattiva strada
Alla parata militare
sputò negli occhi a un innocente
e quando lui chiese “Perché ”
lui gli rispose “Questo è niente
e adesso è ora che io vada”
e l’innocente lo seguì,
senza le armi lo seguì
sulla sua cattiva strada.

Sui viali dietro la stazione
rubò l’incasso a una regina
e quando lei gli disse “Come”
lui le risposte “Forse è meglio è come prima
forse è ora che io vada”
e la regina lo seguì
col suo dolore lo seguì
sulla sua cattiva strada.

E in una notte senza luna
truccò le stelle ad un pilota
quando l’aeroplano cadde
lui disse “È colpa di chi muore
comunque è meglio che io vada”
ed il pilota lo seguì
senza le stelle lo seguì
sulla sua cattiva strada.

A un diciottenne alcolizzato
versò da bere ancora un poco
e mentre quello lo guardava
lui disse “Amico ci scommetto stai per dirmi
adesso è ora che io vada”
l’alcolizzato lo capì
non disse niente e lo seguì
sulla sua cattiva strada.

Ad un processo per amore
baciò le bocche dei giurati
e ai loro sguardi imbarazzati
rispose “Adesso è più normale
adesso è meglio, adesso è giusto, giusto, è giusto
che io vada”
ed i giurati lo seguirono
a bocca aperta lo seguirono
sulla sua cattiva strada,
sulla sua cattiva strada.

E quando poi sparì del tutto
a chi diceva “È stato un male”
a chi diceva “È stato un bene”
raccomandò “Non vi conviene
venir con me dovunque vada”,
ma c’è amore un po’ per tutti
e tutti quanti hanno un amore
sulla cattiva strada
sulla cattiva strada.

Dolce luna
Cammina come un vecchio marinaio
non ha più un posto dove andare
la terra sotto i piedi non lo aspetta
strano modo di ballare
sua moglie ha un altro uomo e un’altra donna, è proprio un uomo da buttare
e nelle tasche gli è rimasta solo un po’ di polvere di mare
e non può testimoniare.

Si muove sopra i sassi
come un leone invernale
ti può parlare ore ed ore
della sua quarta guerra mondiale
conserva la sua cena dentro a un foglio di giornale
la sua ragazza “esca dalle lunghe gambe” fa all’amore niente male
e non può testimoniare.

Lui vide il marinaio indiano
alzarsi in piedi e barcollare
con un coltello nella schiena
tra la schiuma e la stella polare
e il timoniere di Shanghai tornò tranquillo a pilotare
e lui lo vide con l’anello al dito e un altro anello da rubare
ma non può testimoniare.

Dal buio delle tango notti “Balla Linda”
alla paralisi di un porto,
la luce delle stelle chiare
come un rifugio capovolto,
la sua balena “Dolce Luna” che lo aspettata in alto mare,
gli ha detto molte volte “Amore, con chi mi vuoi dimenticare ”
e non può testimoniare
e non può testimoniare.

E tu mi vieni a dire voglio un figlio
su cui potermi regolare
con due occhi qualunque e il terzo occhio inconfondibile e speciale
che non ti importa niente
se non riuscirà a nuotare
l’importante è che abbia sulla guancia destra
quella mia voglia di mare
e mi dici ancora che il mio nome
glielo devo proprio dare
ma non so testimoniare
io non so testimoniare.

CANZONE PER L’ESTATE
Con tua moglie che lavava i piatti in cucina e non capiva
con tua figlia che provava il suo vestito nuovo e sorrideva
con la radio che ronzava
per il mondo cose strane
e il respiro del tuo cane che dormiva.

Coi tuoi santi sempre pronti a benedire i tuoi sforzi per il pane
con il tuo bambino biondo a cui hai dato una pistola per Natale
che sembra vera,
con il letto in cui tua moglie
non ti ha mai saputo dare
e gli occhiali che tra un po’ dovrai cambiare.

Com’è che non riesci più a volare
com’è che non riesci più a volare
com’è che non riesci più a volare
com’è che non riesci più a volare

Con le tue finestre aperte sulla strada e gli occhi chiusi sulla gente
con la tua tranquillità, lucidità, soddisfazione permanente
la tua coda di ricambio
le tue nuvole in affitto
le tue rondini di guardia sopra il tetto.

Con il tuo francescanesimo a puntate e la tua dolce consistenza
col tuo ossigeno purgato e le tue onde regolate in una stanza
col permesso di trasmettere
e il divieto di parlare
e ogni giorno un altro giorno da contare.

Com’è che non riesci più a volare
com’è che non riesci più a volare
com’è che non riesci più a volare
com’è che non riesci più a volare

Con i tuoi entusiasmi lenti precisati da ricordi stagionali
e una bella addormentata che si sveglia a tutto quel che le regali
con il tuo collezionismo
di parole complicate
la tua ultima canzone per l’estate.

Con le tue mani di carta per avvolgere altre mani normali
Con l’idiota in giardino ad isolare le tue rose migliori
col tuo freddo di montagna
e il divieto di sudare
e più niente per poterti vergognare.

Com’è che non riesci più a volare
com’è che non riesci più a volare
com’è che non riesci più a volare
com’è che non riesci più a volare

Le storie di ieri
Mio padre aveva un sogno comune
condiviso dalla sua generazione
la mascella al cortile parlava
troppi morti lo hanno tradito
tutta gente che aveva capito.

E il bambino nel cortile sta giocando
tira sassi nel cielo e nel mare
ogni volta che colpisce una stella
chiude gli occhi e si mette a sognare
chiude gli occhi e si mette a volare.

E i cavalli a Salò sono morti di noia
a giocare col nero perdi sempre
Mussolini ha scritto anche poesie
i poeti che strade creature
ogni volta che parlano è una truffa.

Ma mio padre è un ragazzo tranquillo
la mattina legge molti giornali
è convinto di avere delle idee
e suo figlio è una nave pirata
e suo figlio è una nave pirata.

E anche adesso è rimasta una scritta nera
sopra il muro davanti casa mia
dice che il movimento vincerà
il gran capo ha la faccia serena
la cravatta intonata alla camicia.

Ma il bambino nel cortile si è fermato
si è stancato di seguire gli aquiloni
si è seduto tra i ricordi vicini i rumori lontani
guarda il muro e si guarda le mani
guarda il muro e si guarda le mani
guarda il muro e si guarda le mani.

Amico fragile
Evaporato in una nuvola rossa
in una delle molte feritoie della notte
con un bisogno d’attenzione e d’amore
troppo, “Se mi vuoi bene piangi ”
per essere corrisposti,
valeva la pena divertirvi le serate estive
con un semplicissimo “Mi ricordo”:
per osservarvi affittare un chilo d’era
ai contadini in pensione e alle loro donne
e regalare a piene mani oceani
ed altre ed altre onde ai marinai in servizio,
fino a scoprire ad uno ad uno i vostri nascondigli
senza rimpiangere la mia credulità:
perché già dalla prima trincea
ero più curioso di voi,
ero molto più curioso di voi.

E poi sorpreso dai vostri “Come sta”
meravigliato da luoghi meno comuni e più feroci,
tipo “Come ti senti amico, amico fragile,
se vuoi potrò occuparmi un’ora al mese di te”
“Lo sa che io ho perduto due figli”
“Signora lei è una donna piuttosto distratta.”
E ancora ucciso dalla vostra cortesia
nell’ora in cui un mio sogno
ballerina di seconda fila,
agitava per chissà quale avvenire
il suo presente di seni enormi
e il suo cesareo fresco,
pensavo è bello che dove finiscono le mie dita
debba in qualche modo incominciare una chitarra.

E poi seduto in mezzo ai vostri arrivederci,
mi sentivo meno stanco di voi
ero molto meno stanco di voi.

Potevo stuzzicare i pantaloni della sconosciuta
fino a farle spalancarsi la bocca.
Potevo chiedere ad uno qualunque dei miei figli
di parlare ancora male e ad alta voce di me.
Potevo barattare la mia chitarra e il suo elmo
con una scatola di legno che dicesse perderemo.
Potevo chiedere come si chiama il vostro cane
Il mio è un po’ di tempo che si chiama Libero.
Potevo assumere un cannibale al giorno
per farmi insegnare la mia distanza dalle stelle.
Potevo attraversare litri e litri di corallo
per raggiungere un posto che si chiamasse arrivederci.

E mai che mi sia venuto in mente,
di essere più ubriaco di voi
di essere molto più ubriaco di voi.

Oceano
Quanti cavalli hai tu seduto alla porta
tu che sfiori il cielo col tuo dito più corto
la notte non ha bisogno
la notte fa benissimo a meno del tuo concerto
ti offenderesti se qualcuno ti chiamasse un tentativo.

Ed arrivò un bambino con le mani in tasca
ed un oceano verde dietro le spalle
disse “Vorrei sapere, quanto è grande il verde
come è bello il mare, quanto dura una stanza
è troppo tempo che guardo il sole, mi ha fatto male ”

Prova a lasciare le campane al loro cerchio di rondini
e non ficcare il naso negli affari miei
e non venirmi a dire “Preferisco un poeta,
preferisco un poeta ad un poeta sconfitto”

Ma se ci tieni tanto poi baciarmi ogni volta che vuoi.

Giugno ’73
Tua madre ce l’ha molto con me
perché sono sposato e in più canto
però canto bene e non so se tua madre
sia altrettanto capace a vergognarsi di me.

La gazza che ti ho regalato
è morta, tua sorella ne ha pianto,
quel giorno non avevano fiori, peccato,
quel giorno vendevano gazze parlanti.

E speravo che avrebbe insegnato a tua madre
A dirmi “Ciao come stai “, insomma non proprio a cantare
per quello ci sono già io come sai.
I miei amici sono tutti educati con te
però vestono in modo un po’ strano
mi consigli di mandarli da un sarto e mi chiedi
“Sono loro stasera i migliori che abbiamo “.

E adesso ridi e ti versi un cucchiaio di mimosa
Nell’imbuto di un polsino slacciato.
I miei amici ti hanno dato la mano,
li accompagno, il loro viaggio porta un po’ più lontano.

E tu aspetta un amore più fidato
il tuo accendino sai io l’ho già regalato
e lo stesso quei due peli d’elefante
mi fermavano il sangue
li ho dati a un passante.

Poi il resto viene sempre da sé
i tuoi “Aiuto” saranno ancora salvati
io mi dico è stato meglio lasciarci
che non esserci mai incontrati.

Nancy
Un po’ di tempo fa
Nancy era senza compagnia
all’ultimo spettacolo
con la sua bigiotteria
Nel Palazzo di Giustizia
suo padre era innocente
Nel Palazzo del Mistero
non c’era proprio niente
non c’era quasi niente

Un po’ di tempo fa
eravamo distratti
Lei portava calze verdi,
dormiva con tutti,
ma “cosa fai domani?”
non lo chiese mai a nessuno:
si innamorò di tutti noi
non proprio di qualcuno
non solo di qualcuno

E un po’ di tempo fa
col telefono rotto
cercò dal terzo piano
la sua serenità
Dicevamo che era libera,
ma nessuno era sincero
non l’avremmo corteggiata mai
nel Palazzo del Mistero
nel Palazzo del Mistero

E dove mandi i tuoi pensieri adesso
trovi Nancy a fermarli
molti hanno usato il suo corpo
molti hanno pettinato i suoi capelli
E nel vuoto della notte
quando hai freddo e sei perduto
c’è ancora Nancy che ti dice: “Amore,
sono contenta che sei venuto,
sono contenta che sei venuto”


RIMINI (1978)

Rimini
Teresa ha gli occhi secchi
guarda verso il mare
per lei figlia di pirati
penso che sia normale

Teresa parla poco
ha labbra screpolate
mi indica un amore perso
a Rimini d’estate.

Lei dice bruciato in piazza
dalla santa inquisizione
forse perduto a Cuba
nella rivoluzione
o nel porto di New York

nella caccia alle streghe
oppure in nessun posto
ma nessuno le crede.

Coro: Rimini, Rimini

E Colombo la chiama
dalla sua portantina
lei gli toglie le manette ai polsi
gli rimbocca le lenzuola

“Per un triste Re Cattolico – le dice –
ho inventato un regno
e lui lo ha macellato
su di una croce di legno.

E due errori ho commesso
due errori di saggezza
abortire l’America
e poi guardarla con dolcezza

ma voi che siete uomini
sotto il vento e le vele
non regalate terre promesse
a chi non le mantiene “.

Coro: Rimini, Rimini

Ora Teresa è all’Harrys’ Bar
guarda verso il mare
per lei figlia di droghieri
penso che sia normale

porta una lametta al collo
è vecchia di cent’anni
di lei ho saputo poco
ma sembra non inganni.

“E un errore ho commesso – dice –
un errore di saggezza
abortire il figlio del bagnino
e poi guardarlo con dolcezza

ma voi che siete a Rimini
tra i gelati e le bandiere
non fate più scommesse
sulla figlia del droghiere”.

Coro: Rimini, Rimini

Volta la carta
C’è una donna che semina il grano
volta la carta si vede il villano
il villano che zappa la terra
volta la carta viene la guerra
per la guerra non c’è più soldati
a piedi scalzi son tutti scappati

Angiolina cammina cammina sulle sue scarpette blu
carabiniere l’ha innamorata volta la carta e lui non c’è più
carabiniere l’ha innamorata volta la carta e lui non c’è più.

C’è un bambino che sale un cancello
ruba ciliege e piume d’uccello
tirate sassate non ha dolori
volta la carta c’è il fante di cuori.

Il fante di cuori che è un fuoco di paglia
volta la carta il gallo si sveglia

Angiolina alle sei di mattina s’intreccia i capelli con foglie d’ortica
ha una collana di ossi di pesca la gira tre volte in mezzo alle dita
ha una collana di ossi di pesca la conta tre volte intorno alle dita.

Mia madre ha un mulino e un figlio infedele
gli inzucchera il naso di torta di mele

Mia madre e il mulino son nati ridendo
volta la carta c’è un pilota biondo

Pilota biondo camicie di seta
cappello di volpe sorriso da atleta

Angiolina seduta in cucina che piange, che mangia insalata di more.
Ragazzo straniero ha un disco d’orchestra che gira veloce che parla d’amore
Ragazzo straniero ha un disco d’orchestra che gira che gira che parla d’amore.

Madamadorè ha perso sei figlie
tra i bar del porto e le sue meraviglie
Madamadorè sa puzza di gatto
volta la carta e paga il riscatto
paga il riscatto con le borse degli occhi

Piene di foto di sogni interrotti
Angiolina ritaglia giornali si veste da sposa canta vittoria
chiama i ricordi col loro nome volta la carta e finisce in gloria
chiama i ricordi col loro nome volta la carta e finisce in gloria.

Coda di lupo
Quando ero piccolo m’innamoravo di tutto correvo dietro ai cani
e da marzo a febbraio mio nonno vegliava
sulla corrente di cavalli e di buoi
sui fatti miei sui fatti tuoi

e al dio degli inglesi non credere mai.

E quando avevo duecento lune e forse qualcuna è di troppo
rubai il primo cavallo e mi fecero uomo
cambiai il mio nome in “Coda di lupo”
cambiai il mio pony con un cavallo muto

e al loro dio perdente non credere mai

E fu nella notte della lunga stella con la coda
che trovammo mio nonno crocifisso sulla chiesa
crocifisso con forchette che si usano a cena
era sporco e pulito di sangue e di crema

e al loro dio goloso non credere mai.

E forse avevo diciott’anni e non puzzavo più di serpente
possedevo una spranga un cappello e una fionda
e una notte di gala con un sasso a punta
uccisi uno smoking e glielo rubai

e al dio della scala non credere mai.

Poi tornammo in Brianza per l’apertura della caccia al bisonte
ci fecero l’esame dell’alito e delle urine
ci spiegò il meccanismo un poeta andaluso
– Per la caccia al bisonte – disse – Il numero è chiuso.

E a un Dio a lieto fine non credere mai.

Ed ero già vecchio quando vicino a Roma a Little Big Horn
capelli corti generale ci parlò all’università
dei fratelli tutte blu che seppellirono le asce
ma non fumammo con lui non era venuto in pace

e a un dio fatti il culo non credere mai.

E adesso che ho bruciato venti figli sul mio letto di sposo
che ho scaricato la mia rabbia in un teatro di posa
che ho imparato a pescare con le bombe a mano
che mi hanno scolpito in lacrime sull’arco di Traiano
con un cucchiaio di vetro scavo nella mia storia
ma colpisco un po’ a casaccio perché non ho più memoria

e a un dio senza fiato non credere mai.

Andrea
Andrea s’è perso s’è perso e non sa tornare
Andrea s’è perso s’è perso e non sarà tornare
Andrea aveva un amore Riccioli neri
Andrea aveva un dolore Riccioli neri.

C’era scritto sul foglio ch’era morto sulla bandiera
C’era scritto e la firma era d’oro era firma di re

Ucciso sui monti di Trento dalla mitraglia.
Ucciso sui monti di Trento dalla mitraglia.

Occhi di bosco contadino del regno profilo francese
Occhi di bosco soldato del regno profilo francese
E Andrea l’ha perso ha perso l’amore la perla più rara
E Andrea ha in bocca un dolore la perla più scura.

Andrea raccoglieva violette ai bordi del pozzo
Andrea gettava Riccioli neri nel cerchio del pozzo
Il secchio gli disse – Signore il pozzo è profondo
più fondo del fondo degli occhi della Notte del Pianto.

Lui disse – Mi basta mi basta che sia più profondo di me.
Lui disse – Mi basta mi basta che sia più profondo di me.

Tema di Rimini (strumentale)

Avventura a Durango
Peperoncini rossi nel sole cocente
polvere sul viso e sul cappello
io e Maddalena all’occidente
abbiamo aperto i nostri occhi oltre il cancello

ho dato la chitarra al figlio del fornaio
per una pizza ed un fucile
la ricomprerò lungo il sentiero
e suonerò per Maddalena all’imbrunire.

Nun chiagne Maddalena Dio ci guarderà
e presto arriveremo a Durango
Stringimi Maddalena ‘sto deserto finirà
tu potrai ballare o fandango

Dopo i templi aztechi e le rovine
le prime stelle sul Rio Grande
Di notte sogno il campanile
e il collo di Ramon pieno di sangue

Sono stato proprio io all’osteria
a premere le dita sul grilletto
Vieni mia Maddalena voliamo via
il cane abbaia quel che è fatto è fatto

Nun chiagne Maddalena Dio ci guarderà
e presto arriveremo a Durango
Stringimi Maddalena ‘sto deserto finirà
tu potrai ballare o fandango

Alla corrida con tequila ghiacciata
vedremo il toreador toccare il cielo
All’ombra della tribuna antica
dove Villa applaudiva il rodeo

Il frate pregherà per il perdono
ci accoglierà nella missione
Avrò stivali nuovi un orecchino d’oro
e sotto il velo tu farai la comunione

La strada è lunga ma ne vedo la fine
arriveremo per il ballo
e Dio ci apparirà sulle colline
coi suoi occhi smeraldi di ramarro

Nun chiagne Maddalena Dio ci guarderà
e presto arriveremo a Durango
Stringimi Maddalena ‘sto deserto finirà
tu potrai ballare o fandango

Che cosa è il colpo che ho sentito
ho nella schiena un dolore caldo
siediti qui trattieni il fiato
forse non sono stato troppo scaltro

Svelta Maddalena prendi il mio fucile
guarda dove è partito il lampo
miralo bene cercare di colpire
potremmo non vedere più Durango

Nun chiagne Maddalena Dio ci guarderà
e presto arriveremo a Durango
Stringimi Maddalena ‘sto deserto finirà
tu potrai ballare o fandango

Sally
Mia madre mi disse – Non devi giocare
con gli zingari nel bosco.
Mia madre mi disse – Non devi giocare
con gli zingari nel bosco.

Ma il bosco era scuro l’erba già verde
lì venne Sally con un tamburello
ma il bosco era scuro l’erba già alta
dite a mia madre che non tornerò.

Andai verso il mare senza barche per traversare
spesi cento lire per un pesciolino d’oro.
Andai verso il mare senza barche per traversare
spesi cento lire per un pesciolino cieco.

Gli montai sulla groppa sparii in un baleno
andate a dire a Sally che non tornerò.
Gli montai sulla groppa sparii in un momento
dite a mia madre che non tornerò.

Vicino alla città trovai Pilar del mare
con due gocce d’eroina s’addormentava il cuore.
Vicino alle roulottes trovai Pilar dei meli
bocca sporca di mirtilli un coltello in mezzo ai seni.

Mi svegliai sulla quercia l’assassino era fuggito
dite al pesciolino che non tornerò.
Mi guardai nello stagno l’assassino s’era già lavato
dite a mia madre che non tornerò.

Seduto sotto un ponte si annusava il re dei topi
sulla strada le sue bambole bruciavano copertoni.
Sdraiato sotto il ponte si adorava il re dei topi
sulla strada le sue bambole adescavano i signori.

Mi parlò sulla bocca mi donò un braccialetto
dite alla quercia che non tornerò.
Mi baciò sulla bocca mi propose il suo letto
dite a mia madre che non tornerò.

Mia madre mi disse – Non devi giocare
con gli zingari del bosco.
Ma il bosco era scuro l’erba già verde
lì venne Sally con un tamburello.

Zirichiltaggia
Di chissu che babbu ci ha lacátu la meddu palti ti sei presa
lu muntiggiu rúiu cu lu súaru li àcchi sulcini lu trau mannu
e m’hai laccatu monti múccju e zirichèlti.

Di quello che papà ci ha lasciato la parte migliore ti sei presa
la collina rosa con il sughero le vacche sorcine e il toro grande
e m’hai lasciato pietre, cisto e lucertole.

Ma tu ti sei tentu lu riu e la casa e tuttu chissu che v’era ‘ndrentu
li piri butìrro e l’oltu cultiato e dapói di sei mesi che mi n’era ‘ndatu
parìa un campusantu bumbaldatu.

Ma tu ti sei tenuto il ruscello e la casa e tutto quello che c’era dentro
le pere butirre e l’orto coltivato e dopo sei mesi che me n’ero andato
sembrava un cimitero bombardato.

Ti ni sei andatu a campà cun li signuri fènditi comandà da to mudderi
e li soldi di babbu l’hai spesi tutti in cosi boni, midicini e giornali
che to fiddòlu a cattr’anni aja jà l’ucchjali.

Te ne sei andato a vivere coi signori, facendoti comandare da tua moglie
e i soldi di papà li hai spesi tutti in dolciumi, medicine e giornali
che tuo figliolo a quattro anni aveva già gli occhiali.

Ma me muddèri campa da signora a me fiddòlu cunnosci più di milli paráuli
la tòja è mugnedi di la manzàna a la sera e li toi fiddòli so brutti di tarra
e di lozzu e andaràni a cuiuàssi a a calche ziràccu.

Mia moglie vive da signora e mio figlio conosce più di mille parole
la tua munge da mattina a sera e le tue figlie sono sporche di terra
e di letame e andranno a spostarsi a qualche servo pastore.

Candu tu sei paltutu suldatu piagnii come unu stèddu
e da li babbi di li toi amanti t’ha salvatu tu fratèddu
e si lu curàggiu che t’è filmatu è sempre chiddu
chill’èmu a vidi in piazza ca l’ha più tostu lu murro
e pa lu stantu ponimi la faccia in culu.

E tu quando sei partito soldato piangevi come un bambinetto
e dai padri delle tue amanti t’ha salvato tuo fratello
e se il coraggio che ti è rimasto è sempre quello ce la vedremo in piazza
chi ha la testa dura e nel frattempo mettimi la faccia in culo.

Parlando del naufragio della “London Valour”
I marinai foglie di coca digeriscono in coperta
il capitano ha un’amore al collo venuto apposta dall’Inghilterra
il pasticcere di via Roma sta scendendo le scale
ogni dozzina di gradini trova una mano da pestare
ha una frusta giocattolo sotto l’abito da tè.

E la radio di bordo è una sfera di cristallo
dice che il vento si farà lupo il mare si farà sciacallo
il paralitico tiene in tasca un uccellino blu cobalto
ride con gli occhi al circo Togni quando l’acrobata sbaglia il salto.

E le ancore hanno perduto la scommessa e gli artigli
i marinai uova di gabbiano piovono sugli scogli
il poeta metodista ha spine di rosa nelle zampe
per far pace con gli applausi per sentirsi più distante
la sua stella sì e oscurata da quando ha vinto la gara del sollevamento pesi.

E con uno schiocco di lingua parte il cavo dalla riva
ruba l’amore del capitano attorcigliandole la vita
il macellaio mani di seta si è dato un nome da battaglia
tiene fasciate dentro il frigo nove mascelle antiguerriglia
ha un grembiule antiproiettile tra il giornale e il gilè.

E il pasticciere e il poeta e il paralitico e la sua coperta
si ritrovarono sul molo con sorrisi da cruciverba
a sorseggiarsi il capitano che si sparava negli occhi
e il pomeriggio a dimenticarlo con le sue pipe e i suoi scacchi
e si fiutarono compatti nei sottintesi e nelle azioni
contro ogni sorta di naufragi o di altre rivoluzioni
e il macellaio mani di seta distribuì le munizioni.

Folaghe


IN CONCERTO (CON LA PFM) (1979)

Bocca di rosa
Andrea
Giugno ’73
Un giudice
La guerra di Piero
Il pescatore
Zirichiltaggia
La canzone di Marinella
Volta la carta
Amico fragile


IN CONCERTO (CON LA PFM) (1980)

Avventura a Durango
Presentazione (parlato)
Sally
Verranno a chiederti del nostro amore
Rimini
Via del Campo
Maria nella bottega del falegname
Il testamento di Tito


UNA STORIA SBAGLIATA/TITTI (1980)

Una storia sbagliata
È una storia da dimenticare
è una storia da non raccontare
è una storia un po’ complicata
è una storia sbagliata.

Cominciò con la luna sul posto
e finì con un fiume d’inchiostro
è una storia un poco scontata
è una storia sbagliata.

Storia diversa per gente normale
storia comune per gente speciale
cos’altro vi serve da queste vite
ora che il cielo al centro le ha colpite
ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.

È una storia di periferia
è una storia da una botta e via
è una storia sconclusionata
una storia sbagliata.

Una spiaggia ai piedi del letto
stazione Termini ai piedi del cuore
una notte un po’ concitata
una notte sbagliata.

Notte diversa per gente normale
notte comune per gente speciale
cos’altro ti serve da queste vite
ora che il cielo al centro le ha colpite
ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.

È una storia vestita di nero
è una storia da basso impero
è una storia mica male insabbiata
è una storia sbagliata.

È una storia da carabinieri
è una storia per parrucchieri
è una storia un po’ sputtanata
o è una storia sbagliata.

Storia diversa per gente normale
storia comune per gente speciale
cos’altro vi serve da queste vite
ora che il cielo al centro le ha colpite
ora che il cielo ai bordi le ha scolpite.

Per il segno che c’è rimasto
non ripeterci quanto ti spiace
non ci chiedere più come è andata
tanto lo sai che è una storia sbagliata
tanto lo sai che è una storia sbagliata.

Titti
Come due canne sul calcio del fucile
come due promesse nello stesso aprile
come due serenate alla stessa finestra
come due cappelli sulla stessa testa
come due soldini sul palmo della mano
come due usignoli pioggia e piume sullo stesso ramo.

Titti aveva due amori uno di cielo uno di terra
di segno contrario uno in pace uno in guerra
Titti aveva due amori uno in terra uno in cielo
insomma di segno contrario uno buono uno vero.

Come le lancette dello stesso orologio
come due cavalieri dentro il sortilegio
e furono i due legni che fecero la croce
e intorno due banditi con la stessa voce
come due risposte con una parola
come due desideri per una stella sola.

Titti aveva due amori uno di cielo uno di terra
di segno contrario uno in pace uno in guerra
Titti aveva due amori uno in terra uno in cielo
insomma di segno contrario uno buono uno vero.


FABRIZIO DE ANDRÉ (INDIANO) (1981)

Quello che non ho
Quello che non ho è una camicia bianca
quello che non ho è un segreto in banca
quello che non ho sono le tue pistole
per conquistarmi il cielo per guadagnarmi il sole.

Quello che non ho è di farla franca
quello che non ho è quel che non mi manca
quello che non ho sono le tue parole
per guadagnarmi il cielo per conquistarmi il sole.

Quello che non ho è un orologio avanti
per correre più in fretta e avervi più distanti
quello che non ho è un treno arrugginito
che mi riporti indietro da dove sono partito.

Quello che non ho sono i tuoi denti d’oro
quello che non ho è un pranzo di lavoro
quello che non ho è questa prateria
per correre più forte della malinconia.

Quello che non ho sono le mani in pasta
quello che non ho è un indirizzo in tasca
quello che non ho sei tu dalla mia parte
quello che non ho è di fregarti a carte.

Quello che non ho è una camicia bianca
quello che non ho è di farla franca
quello che non ho sono le sue pistole
per conquistarmi il cielo per guadagnarmi il sole.

Quello che non ho…

Canto del servo pastore
Dove fiorisce il rosmarino
c’è una fontana scura
dove cammina il mio destino
c’è un filo di paura
qual’è la direzione
nessuno me lo imparò
qual’è il mio vero nome
ancora non lo so

Quando la luna perde la lana
e il passero la strada
quando ogni angelo è alla catena
ed ogni cane abbaia
prendi la tua tristezza in mano
e soffiala nel fiume
vesti di foglie il tuo dolore
e coprilo di piume

Sopra ogni cisto da qui al mare
c’è un pò dei miei capelli
sopra ogni sughera il disegno
di tutti i miei coltelli
l’amore delle case
l’amore bianco vestito
io non l’ho mai saputo
e non l’ho mai tradito

Mio padre un falco
mia madre un pagliaio
stanno sulla collina
i loro occhi senza fondo
seguono la mia luna
notte notte notte sola
sola come il mio fuoco
piega la testa sul mio cuore
e spegnilo poco a poco

Fiume Sand Creek
Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura
sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura
fu un generale di vent’anni
occhi turchini e giacca uguale
fu un generale di vent’anni
figlio d’un temporale

c’è un dollaro d’argento sul fondo del Sand Creek.

I nostri guerrieri troppo lontani sulla pista del bisonte
e quella musica distante diventò sempre più forte
chiusi gli occhi per tre volte
mi ritrovai ancora lì
chiesi a mio nonno è solo un sogno
mio nonno disse sì

a volte i pesci cantano sul fondo del Sand Creek

Sognai talmente forte che mi uscì il sangue dal naso
il lampo in un orecchio nell’altro il paradiso
le lacrime più piccole
le lacrime più grosse
quando l’albero della neve
fiorì di stelle rosse

ora i bambini dormono nell letto del Sand Creek

Quando il sole alzò la testa tra le spalle della notte
c’erano solo cani e fumo e tende capovolte
tirai una freccia in cielo
per farlo respirare
tirai una freccia al vento
per farlo sanguinare

la terza freccia cercala sul fondo del Sand Creek

Si son presi il nostro cuore sotto una coperta scura
sotto una luna morta piccola dormivamo senza paura
fu un generale di vent’anni
occhi turchini e giacca uguale
fu un generale di vent’anni
figlio d’un temporale

ora i bambini dormono sul fondo del Sand Creek

Ave Maria*
Deus Deus ti salve Maria
chi chi ses de grazia piena
de grazia ses sa ivena
ei sa currente…
ei sa currente…

Su, su Deus onnipotente
cun, cun tegus est istadu
pro chi t’ha preservadu
immaculata

Bene, beneitta e laudada
supra, supra e tottu gloriosa
mama fizza e isposa
de su Segnore

Bene, beneittu su fiore
chi, chi es fruttu e su sinu
Gesu’ fiore divinu
Segnore nostru

Pregade pregade lu a fizzu ostru
chi chi tottu sos errores
a nois sos peccadores
a nos perdone

Meda meda grazia a nos done
in vida e in sa morte
e in sa diciosa sorte
in paradisu

* (canto tradizionale sardo, adatt. A. Puddu)

Ave Maria
Dio, Dio ti salvi Maria
Che, che di grazia sei piena
Di grazia sei la vena
E l’energia

Il, il Dio onnipotente
Con, con te è stato
Per ciò ti ha preservato
Immacolata

Bene, benedetta e lodata
Sopra, soprattutto gloriosa
Mamma, figlia e sposa
Del Signore

Bene, benedetto il fiore
Che, che è il frutto del seno
Gesù fiore divino
Signore nostro

Pregate, pregate a vostro figlio
Che, che tutti gli errori
A noi i peccatori
A noi perdoni

Molta, molta grazia ci doni
Nella vita e nella morte
E nella beata sorte
In paradiso

Hotel Supramonte
E se vai all’Hotel Supramonte e guardi il cielo
tu vedrai una donna in fiamme e un uomo solo
e una lettera vera di notte falsa di giorno
e poi scuse e accuse e scuse senza ritorno
e ora viaggi vivi ridi o sei perduto
col suo ordine discreto dentro il cuore
ma dove dov’è il tuo amore, ma dove è finito il tuo amore.

Grazie al cielo ho una bocca per bere e non è facile
grazie a te ho una barca da scrivere ho un treno da perdere
e un invito all’Hotel Supramonte dove ho visto la neve
sul tuo corpo così dolce di fame così dolce di sete
passerà anche questa stazione senza far male
passerà questa pioggia sottile come passa il dolore
ma dove dov’è il tuo amore, ma dove è finito il tuo amore.

E ora siedo sul letto del bosco che ormai ha il tuo nome
ora il tempo è un signore distratto è un bambino che dorme
ma se ti svegli e hai ancora paura ridammi la mano
cosa importa se sono caduto se sono lontano
perché domani sarà un giorno lungo e senza parole
perché domani sarà un giorno incerto di nuvole e sole
ma dove dov’è il tuo cuore, ma dove è finito il tuo cuore.

Franziska
Hanno detto che Franziska è stanca di pregare
tutta notte alla finestra aspetta il tuo segnale
quanto è piccolo il suo cuore e grande la montagna
quanto tagli il suo dolore più di un coltello, coltello di Spagna.

Tu bandito senza luna senza stelle e senza fortuna
questa notte dormirai col suo rosario stretto intorno al tuo fucile.

Tu bandito senza luna senza stelle e senza fortuna
questa notte dormirai col suo rosario stretto intorno al tuo fucile.

Hanno detto che Franziska è stanca di ballare
con un uomo che non ride e non la può baciare
tutta notte sulla quercia l’hai seguita in mezzo ai rami
dietro il palco sull’orchestra i tuoi occhi come due cani.

Marinaio di foresta senza sonno e senza canzoni
senza una conchiglia da portare o una rete d’illusioni.
Marinaio di foresta senza sonno e senza canzoni
senza una conchiglia da portare o una rete d’illusioni.

Hanno detto che Franziska è stanca di posare
per un uomo che dipinge e non la può guardare
filo filo del mio cuore che dagli occhi porti al mare
c’è una lacrima nascosta che nessuno mi sa disegnare.

Tu bandito senza luna senza stelle e senza fortuna
questa notte dormirai col suo rosario stretto intorno al tuo fucile.
Tu bandito senza luna senza stelle e senza fortuna
questa notte dormirai col suo ritratto proprio sotto al tuo fucile.

Hanno detto che Franziska non riesce più a cantare
anche l’ultima sorella tra un po’ vedrà sposare
l’altro giorno un altro uomo le ha sorriso per la strada
era certo un forestiero che non sapeva quel che costava.

Marinaio di foresta senza sonno e senza canzoni
senza una conchiglia da portare o una rete d’illusioni.
Marinaio di foresta senza sonno e senza canzoni
senza una conchiglia da portare o una rete d’illusioni.

Se ti tagliassero a pezzetti
Se ti tagliassero a pezzetti
il vento li raccoglierebbe
il regno dei ragni cucirebbe la pelle
e la luna tesserebbe i capelli e il viso
e il polline di Dio
di Dio il sorriso.

Ti ho trovata lungo il fiume
che suonavi una foglia di fiore
che cantavi parole leggere, parole d’amore
ho assaggiato le tue labbra di miele rosso rosso
ti ho detto dammi quello che vuoi, io quel che posso.

Rosa gialla rosa di rame
mai ballato così a lungo
lungo il filo della notte sulle pietre del giorno
io suonatore di chitarra io suonatore di mandolino
alla fine siamo caduti sopra il fieno.

Persa per molto persa per poco
presa sul serio presa per gioco
non c’è stato molto da dire o da pensare
la fortuna sorrideva come uno stagno a primavera
spettinata da tutti i venti della sera.

E adesso aspetterò domani
per avere nostalgia
signora libertà signorina fantasia
così preziosa come il vino così gratis come la tristezza
con la tua nuvola di dubbi e di bellezza.

T’ho incrociata alla stazione
che inseguivi il tuo profumo
presa in trappola da un tailleur grigio fumo
i giornali in una mano e nell’altra il tuo destino
camminavi fianco a fianco al tuo assassino.

Ma se ti tagliassero a pezzetti
il vento li raccoglierebbe
il regno dei ragni cucirebbe la pelle
e la luna la luna tesserebbe i capelli e il viso
e il polline di Dio
di Dio il sorriso.

Verdi pascoli
Gli aranci sono grossi
i limoni sono rossi
lassù, lassù nei verdi pascoli
ogni angelo è un bambino
sporco e birichino
lassù, lassù nei verdi pascoli.

E ora non piangere perché
presto la notte finirà
con le sue perle stelle e strisce
in fondo al cielo
e ora sorridimi perché
presto la notte se ne andrà
con le sue stelle arrugginite
in fondo al mare.

La radio suona sempre canzoni da ballare
lassù, lassù nei verdi pascoli
niente da scommettere
tutto da giocare
lassù, lassù nei verdi pascoli.

E ora non piangere perché
presto la notte se ne andrà
con le sue perle stelle e strisce
in fondo al cielo
e ora sorridimi perché
presto la notte finirà
con le sue stelle arrugginite
in fondo al mare.

Non c’è d’andare a scuola
ti basta una parola
lassù, lassù nei verdi pascoli
c’è carne da mangiare
erba da sognare
lassù, lassù nei verdi pascoli.

E ora non piangere perché
presto la notte finirà
con le sue perle stelle e strisce
in fondo al cielo
e ora sorridimi perché
presto la notte finirà
con le sue stelle arrugginite
in fondo al mare.

Gli aranci sono grossi
i limoni sono rossi
lassù, lassù nei verdi pascoli
papà non c’ha da fare
papà ti fa giocare
lassù, lassù nei verdi pascoli.

E ora non piangere perché
presto il concerto finirà
con le sue perle stelle e strisce
in fondo al cielo
e ora sorridimi perché
presto il concerto se ne andrà
con le sue stelle arrugginite
in fondo al mare.


CREUZA DE MÄ (1984)

Creuza de mä
Umbre de muri muri de mainé
dunde ne vegnì duve l’è ch’ané

da ‘n scitu duve a l’ûn-a a se mustra nûa
e a neutte a n’à puntou u cutellu ä gua

e a muntä l’àse gh’é restou Diu
u Diàu l’é in çë e u s’è gh’è faetu u nìu

ne sciurtìmmu da u mä pe sciugà e osse da u Dria
e a funtan-a di cumbi ‘nta cä de pria

E ‘nt’a cä de pria chi ghe saià
int’à cä du Dria che u nu l’è mainà

gente de Lûgan facce da mandillä
qui che du luassu preferiscian l’ä

figge de famiggia udù de bun
che ti peu ammiàle senza u gundun

E a ‘ste panse veue cose ghe daià
cose da beive, cose da mangiä

frittûa de pigneu giancu de Purtufin
çervelle de bae ‘nt’u meximu vin

lasagne da fiddià ai quattru tucchi
paciûgu in aegruduse de lévre de cuppi

E ‘nt’a barca du vin ghe naveghiemu ‘nsc’i scheuggi
emigranti du rìe cu’i cioi ‘nt’i euggi

finché u matin crescià da puéilu rechéugge
frè di ganeuffeni e dè figge

bacan d’a corda marsa d’aegua e de sä
che a ne liga e a ne porta ‘nte ‘na creuza de mä

Mulattiera di mare
Ombre di facce facce di marinai
da dove venite dov’è che andate

da un posto dove la luna si mostra nuda
e la notte ci ha puntato il coltello alla gola

e a montare l’asino c’è rimasto Dio
il Diavolo è in cielo e ci si è fatto il nido

usciamo dal mare per asciugare le ossa dall’Andrea
alla fontana dei colombi nella casa di pietra

E nella casa di pietra chi ci sarà
nella casa dell’Andrea che non è marinaio

gente di Lugano facce da tagliaborse
quelli che della spigola preferiscono l’ala

ragazze di famiglia, odore di buono
che puoi guardarle senza preservativo

E a queste pance vuote cosa gli darà
cose da bere, cose da mangiare

frittura di pesciolini, bianco di Portofino
cervelli di agnello nello stesso vino

lasagne da tagliare ai quattro sughi
pasticcio in agrodolce di lepre di tegole (gatto)

E nella barca del vino ci navigheremo sugli scogli
emigranti della risata con i chiodi negli occhi

finché il mattino crescerà da poterlo raccogliere
fratello dei garofani e delle ragazze

padrone della corda marcia d’acqua e di sale
che ci lega e ci porta in una mulattiera di mare

Jamín-a
Lengua ‘nfeuga Jamin-a
lua de pelle scûa
cu’a bucca spalancà
morsciu de carne dûa

stella neigra ch’a lûxe
me veuggiu demuâ
‘nte l’ûmidu duçe
de l’amë dû teu arveà

ma seu Jamin-a
ti me perdunié
se nu riûsciò a ésse porcu
cumme i teu pensë

destacchete Jamin-a
lerfe de ûga spin-a
fatt’ammiâ Jamin-a
roggiu de mussa pin-a

e u muru ‘ntu sûù
sûgu de sä de cheusce
duve gh’è pei gh’è amù
sultan-a de e bagasce
dagghe cianìn Jamin-a

nu navegâ de spunda
primma ch’à cuæ ch’à munta e a chin-a
nu me se desfe ‘nte l’unda
e l’ûrtimu respiu Jamin-a

regin-a muaé de e sambe
me u tegnu pe sciurtï vivu
da u gruppu de e teu gambe

Jamina
Lingua infuocata Jamina
lupa di pelle scura
con la bocca spalancata
morso di carne soda

stella nera che brilla
mi voglio divertire
nell’umido dolce
del miele del tuo alveare

sorella mia Jamina
mi perdonerai
se non riuscirò a essere porco
come i tuoi pensieri

staccati Jamina
labbra di uva spina
fatti guardare Jamina
getto di fica piena

e la faccia nel sudore
sugo di sale di cosce
dove c’è pelo c’è amore
sultana delle troie
dacci piano Jamina

non navigare di sponda
prima che la voglia che sale e scende
non mi si disfi nell’onda
e l’ultimo respiro Jamina

regina madre delle sambe
me lo tengo per uscire vivo
dal nodo delle tue gambe

Sidún
U mæ nininu mæ
u mæ
lerfe grasse au su
d’amë d’amë

tûmù duçe benignu
de teu muaè
spremmûu ‘nta maccaia
de stæ de stæ

e oua grûmmu de sangue ouëge
e denti de laete
e i euggi di surdatti chen arraggë
cu’a scciûmma a a bucca cacciuéi de bæ

a scurrï a gente cumme selvaggin-a
finch’u sangue sarvaegu nu gh’à smurtau a qué
e doppu u feru in gua i feri d’ä prixún
e ‘nte ferie a semensa velenusa d’ä depurtaziún

perché de nostru da a cianûa a u meü
nu peua ciû cresce aerbu ni spica ni figgeü
ciao mæ ‘nin l’ereditæ
l’è ascusa

‘nte sta çittæ
ch’a brûxa ch’a brûxa
inta seia che chin-a
e in stu gran ciaeu de feugu
pe a teu morte piccin-a

Sidone
Il mio bambino il mio
il mio
labbra grasse al sole
di miele di miele

tumore dolce benigno
di tua madre
spremuto nell’afa umida
dell’estate dell’estate

e ora grumo di sangue orecchie
e denti di latte
e gli occhi dei soldati cani arrabbiati
con la schiuma alla bocca cacciatori di agnelli

a inseguire la gente come selvaggina
finché il sangue selvatico non gli ha spento la voglia
e dopo il ferro in gola i ferri della prigione
e nelle ferite il seme velenoso della deportazione

perché di nostro dalla pianura al molo
non possa più crescere albero né spiga né figlio
ciao bambino mio l’eredità
è nascosta

in questa città
che brucia che brucia
nella sera che scende
e in questa grande luce di fuoco
per la tua piccola morte

Sinán Capudán Pasciá
Teste fascië ‘nscià galéa
ë sciabbre se zeugan a lûn-a
a mæ a l’è restà duv’a a l’éa
pe nu remenalu ä furtûn-a

intu mezu du mä
gh’è ‘n pesciu tundu
che quandu u vedde ë brûtte
u va ‘nsciù fundu

intu mezu du mä
gh’è ‘n pesciu palla
che quandu u vedde ë belle
u vegne a galla

E au postu d’i anni ch’ean dedexenueve
se sun piggiaë ë gambe e a mæ brasse neuve
d’allua a cansún l’à cantà u tambûu
e u lou s’è gangiou in travaggiu dûu

vuga t’è da vugâ prexuné
e spuncia spuncia u remu fin au pë
vuga t’è da vugâ turtaiéu
e tia tia u remmu fin a u cheu

e questa a l’è a ma stöia
e t’ä veuggiu cuntâ
‘n po’ primma ch’à vegiàià
a me peste ‘ntu murtä

e questa a l’è a memöia
a memöia du Cigä
ma ‘nsci libbri de stöia
Sinán Capudán Pasciá

E suttu u timun du gran cäru
c’u muru ‘nte ‘n broddu de fàru
‘na neutte ch’u freidu u te morde
u te giàscia u te spûa e u te remorde

e u Bey assettòu u pensa ä Mecca
e u vedde ë Urì ‘nsce ‘na secca
ghe giu u timùn a lebecciu
sarvàndughe a vitta e u sciabeccu

amü me bell’amü
a sfurtûn-a a l’è ‘n grifun
ch’u gia ‘ngiu ä testa du belinun
amü me bell’amü

a sfurtûn-a a l’è ‘n belin
ch’ù xeua ‘ngiu au cû ciû vixín
e questa a l’è a ma stöia
e t’ä veuggiu cuntâ

‘n po’ primma ch’à a vegiàià
a me peste ‘ntu murtä
e questa a l’è a memöia
a memöia du Cigä
ma ‘nsci libbri de stöia
Sinán Capudán Pasciá.

E digghe a chi me ciamma rénegôu
che a tûtte ë ricchesse a l’argentu e l’öu
Sinán gh’a lasciòu de luxî au sü
giastemmandu Mumä au postu du Segnü

intu mezu du mä gh’è ‘n pesciu tundu
che quandu u vedde ë brûtte u va ‘nsciù fundu
intu mezu du mä gh’è ‘n pesciu palla
che quandu u vedde ë belle u vegne a galla

Sinán Capudán Pasciá
Teste fasciate sulla galea
le sciabole si giocano la luna
la mia è rimasta dov’era
per non stuzzicare la fortuna

in mezzo al mare
c’è un pesce tondo
che quando vede le brutte
va sul fondo

in mezzo al mare
c’è un pesce palla
che quando vede le belle
viene a galla

E al posto degli anni che erano diciannove
si sono presi le gambe e le mie braccia
da allora la canzone l’ha cantata il tamburo
e il lavoro è diventato fatica

voga devi vogare prigioniero
e spingi spingi il remo fino al piede
voga devi vogare imbuto (= mangione)
e tira tira il remo fino al cuore

e questa è la mia storia
e te la voglio raccontare
un po’ prima che la vecchiaia
mi pesti nel mortaio

e questa è la memoria
la memoria del Cicala
ma sui libri di storia
Sinán Capudán Pasciá

e sotto il timone del gran carro
con la faccia in un brodo di farro
una notte che il freddo ti morde
ti mastica ti sputa e ti rimorde

e il Bey seduto pensa alla Mecca
e vede le Uri su una secca
gli giro il timone a libeccio
salvandogli la vita e lo sciabecco

amore mio bell’amore
la sfortuna è un avvoltoio
che gira intorno alla testa dell’imbecille
amore mio bell’amore

la sfortuna è un cazzo
che vola intorno al sedere più vicino
e questa è la mia storia
e te la voglio raccontare

un po’ prima che la vecchiaia
mi pesti nel mortaio
e questa è la memoria
la memoria di Cicala
ma sui libri di storia
Sinán Capudán Pasciá

E digli a chi mi chiama rinnegato
che a tutte le ricchezze all’argento e all’oro
Sinán ha concesso di luccicare al sole
bestemmiando Maometto al posto del Signore

in mezzo al mare c’e un pesce tondo
che quando vede le brutte va sul fondo
in mezzo al mare c’è un pesce palla
che quando vede le belle viene a galla

 pittima
Cosa ghe possu ghe possu fâ
se nu gh’ò ë brasse pe fâ u mainä
se infundo a e brasse nu gh’ò ë män du massacán
e mi gh’ò ‘n pûgnu dûu ch’u pâ ‘n niu

gh’ò ‘na cascetta larga ‘n diu
giûstu pe ascúndime c’u vestiu deré a ‘n fiu

e vaddu in giù a çerca i dinë
a chi se i tegne e ghe l’àn prestë

e ghe i dumandu timidamente ma in mezu ä gente
e a chi nu veu däse raxún
che pâ de stránûä cuntru u trun
ghe mandu a dî che vive l’è cäu ma a bu-n mercöu

mi sun ‘na pittima rispettä
e nu anâ ‘ngíu a cuntâ
che quandu a vittima l’è ‘n strassé ghe dö du mæ

La pittima
Cosa ci posso fare
se non ho le braccia per fare il marinaio
se in fondo alle braccia non ho le mani del muratore
e ho un pugno duro che sembra un nido

ho un torace largo un dito
giusto per nascondermi con il vestito dietro a un filo

e vado in giro a chiedere i denari
a chi se li tiene e glieli hanno prestati

e glieli domando timidamente ma in mezzo alla gente
e a chi non vuole darsi ragione
che sembra di starnutire contro il tuono
gli mando a dire che vivere è caro ma a buon mercato

io sono una pittima rispettata
e non andare in giro a raccontare
che quando la vittima è uno straccione gli do del mio

 duménega
Quandu ä dumenega fan u gíu
cappellin neuvu neuvu u vestiu
cu ‘a madama a madama ‘n testa
o belin che festa o belin che festa

a tûtti apreuvu ä pruccessiún
d’a Teresin-a du Teresún
tûtti a miâ ë figge du diàu
che belin de lou che belin de lou

e a stu luciâ de cheusce e de tettín
ghe fan u sciätu anche i ciû piccin
mama mama damme ë palanche
veuggiu anâ a casín veuggiu anâ a casín

e ciû s’addentran inta cittæ
ciû euggi e vuxi ghe dan deré
ghe dixan quellu che nu peúan dî
de zeùggia sabbu e de lûnedì

a Ciamberlinú sûssa belin
ä Fuxe cheusce de sciaccanuxe
in Caignàn musse de tersa man
e in Puntexellu ghe mustran l’öxellu

e u direttú du portu c’u ghe vedde l’ou
‘nte quelle scciappe a reposu da a lou
pe nu fâ vedde ch’u l’è cuntentu
ch’u meu-neuvu u gh’à u finansiamentu

u se cunfunde ‘nta confûsiún
cun l’euggiu pin de indignasiún
e u ghe cría u ghe cría deré
bagasce sëi e ghe restè

e ti che ti ghe sbraggi apreuvu
mancu ciû u nasu gh’avei de neuvu
bruttu galûsciu de ‘n purtò de Cristu
nu t’è l’únicu ch’u se n’è avvistu

che in mezzu a quelle creatúe
che se guagnan u pan da nûe
a gh’è a gh’è a gh’è a gh’è
a gh’è anche teu muggè

a Ciamberlin sûssa belin
ä Fuxe cheusce de sciaccanuxe
in Caignàn musse de tersa man
e in Puntexellu ghe mustran l’öxellu

La domenica
Quando alla domenica fanno il giro
cappellino nuovo nuovo il vestito
con la madama la madama in testa
cazzo che festa cazzo che festa

e tutti dietro alla processione
della Teresina del Teresone
tutti a guardare le figlie del diavolo
che cazzo di lavoro che cazzo di lavoro

e a questo dondolare di cosce e di tette
gli fanno il chiasso anche i più piccoli
mamma mamma dammi i soldi
voglio andare a casino voglio andare a casino

e più si addentrano nella città
più occhi e voci gli danno dietro
gli dicono quello che non possono dire
di giovedì di sabato e di lunedì

a Pianderlino succhia cazzi
alla Foce cosce da schiaccianoci
in Carignano fighe di terza mano
e a Ponticello gli mostrano l’uccello

e il direttore del porto che ci vede l’oro
in quelle chiappe a riposo dal lavoro
per non fare vedere che è contento
che il molo nuovo ha il finanziamento

si confonde nella confusione
con l’occhio pieno di indignazione
e gli grida gli grida dietro
bagasce siete e ci restate

e tu che gli sbraiti appresso
neanche più il naso avete di nuovo
brutto stronzo di un portatore di Cristo
non sei l’unico che se ne è accorto

che in mezzo a quelle creature
che si guadagnano il pane da nude
c’è c’è c’è c’è
c’è anche tua moglie

a Pianderlino succhia cazzi
alla Foce cosce da schiaccianoci
in Carignano fighe di terza mano
e a Ponticello gli mostrano l’uccello

D’ä mê riva
D’ä mê riva
sulu u teu mandillu ciaèu
d’ä mæ riva
‘nta mæ vitta

u teu fatturisu amàu
‘nta mæ vitta
ti me perdunié u magún
ma te pensu cuntru su

e u so ben t’ammii u mä
‘n pò ciû au largu du dulú
e sun chi affacciòu
a ‘stu bàule da mainä

e sun chi a miä
tréi camixe de vellûu
dui cuverte u mandurlin
e ‘n cämà de legnu dûu

e ‘nte ‘na beretta neigra
a teu fotu da fantinn-a
pe puèi baxâ ancún Zena
‘nscià teu bucca in naftalin-a

Dalla mia riva
Dalla mia riva
solo il tuo fazzoletto chiaro
dalla mia riva
nella mia vita

il tuo sorriso amaro
nella mia vita
mi perdonerai il magone
ma ti penso contro sole

e so bene stai guardando il mare
un po’ più al largo del dolore
e son qui affacciato
a questo baule da marinaio

e son qui a guardare
tre camicie di velluto
due coperte e il mandolino
e un calamaio di legno duro

e in una berretta nera
la tua foto da ragazza
per poter baciare ancora Genova
sulla tua bocca in naftalina


FABRIZIO DE ANDRÉ (antologia blu) (1986)

La canzone di Marinella
Andrea
La guerra di Piero (live con la PFM)
Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers
Bocca di Rosa
Il pescatore (live con la PFM)
Creuza de mä
Fiume Sand Creek
Il testamento di Tito
Via del Campo (live con la PFM)
Quello che non ho
Amico fragile


LE NUVOLE (1990)

Le nuvole
Vanno
vengono
ogni tanto si fermano
e quando si fermano
sono nere come il corvo
sembra che ti guardano con malocchio

Certe volte sono bianche
e corrono
e prendono la forma dell’airone
o della pecora
o di qualche altra bestia
ma questo lo vedono meglio i bambini
che giocano a corrergli dietro per tanti metri

Certe volte ti avvisano con rumore
prima di arrivare
e la terra si trema
e gli animali si stanno zitti
certe volte ti avvisano con rumore

Vanno
vengono
ritornano
e magari si fermano tanti giorni
che non vedi più il sole e le stelle
e ti sembra di non conoscere più
il posto dove stai

Vanno
vengono
per una vera
mille sono finte
e si mettono li tra noi e il cielo
per lasciarci soltanto una voglia di pioggia.

Ottocento
Cantami di questo tempo
l’astio e il malcontento
di chi è sottovento
e non vuol sentir l’odore
di questo motor
che ci porta avanti
quasi tutti quanti
maschi , femmine e cantanti
su un tappeto di contanti
nel cielo blu

Figlia della famiglia
sei la meraviglia
già matura e ancora pura
come la verdura di papà

Figlio bello e audace
bronzo di Versace
figlio sempre più capace
di giocare in borsa
di stuprare in corsa tu
moglie dalle larghe maglie
dalle molte voglie
esperta di anticaglie
scatole d’argento ti regalerò

Ottocento
Novecento
Millecinquecento scatole d’argento
fine Settecento ti regalerò

Quanti pezzi di ricambio
quante meraviglie
quanti articoli di scambio
quante belle figlie da sposar
e quante belle valvole e pistoni
fegati e polmoni
e quante belle biglie a rotolar
e quante belle triglie nel mar

Figlio figlio
povero figlio
eri bello bianco e vermiglio
quale intruglio ti ha perduto nel Naviglio
figlio figlio
unico sbaglio
annegato come un coniglio
per ferirmi , pugnalarmi nell’orgoglio
a me a me
che ti trattavo come un figlio
povero me
domani andrà meglio

Ein klein pinzimonie
wunder matrimonie
krauten und erbeeren
und patellen und arsellen
fischen Zanzibar
und einige krapfen
frùer vor schlafen
und erwachen mit walzer
und Alka-Seltzer fùr
dimenticar

Un piccolo pinzimonio
splendido matrimonio
cavoli e fragole
e patelle ed arselle
pescate a Zanzibar
e qualche krapfen
prima di dormire
ed un risveglio con valzer
e un Alka-Seltzer per
dimenticar.
Quanti pezzi di ricambio
quante meraviglie
quanti articoli di scambio
quante belle figlie da sposar
e quante belle valvole e pistoni
fegati e polmoni
e quante belle biglie a rotolar
e quante belle triglie nel mar.

Don Raffae’
Io mi chiamo Pasquale Cafiero
e son brigadiere del carcere oinè
io mi chiamo Cafiero Pasquale
sto a Poggio Reale dal ’53

e al centesimo catenaccio
alla sera mi sento uno straccio
per fortuna che al braccio speciale
c’è un uomo geniale che parla co’ me

Tutto il giorno con quattro infamoni
briganti, papponi, cornuti e lacchè
tutte l’ore cò ‘sta fetenzia
che sputa minaccia e s’à piglia cò me

ma alla fine m’assetto papale
mi sbottono e mi leggo ‘o giornale
mi consiglio con don Raffae’
mi spiega che penso e bevimm’ò cafè

A che bell’ò cafè
pure in carcere ‘o sanno fa
co’ à ricetta ch’à Ciccirinella
compagno di cella
ci ha dato mammà

Prima pagina venti notizie
ventuno ingiustizie e lo Stato che fa
si costerna, s’indigna, s’impegna
poi getta la spugna con gran dignità
mi scervello e mi asciugo la fronte
per fortuna c’è chi mi risponde
a quell’uomo sceltissimo immenso
io chiedo consenso a don Raffaè

Un galantuomo che tiene sei figli
ha chiesto una casa e ci danno consigli
mentre ‘o assessore che Dio lo perdoni
‘ndrento a ‘e roullotte ci tiene i visoni
voi vi basta una mossa una voce
c’ha ‘sto Cristo ci levano ‘a croce
con rispetto s’è fatto le tre
volite ‘a spremuta o volite ‘o cafè

A che bell’ò cafè
pure in carcere ‘o sanno fa
co’ à ricetta ch’à Ciccirinella
compagno di cella
preciso a mammà

A che bell’ò cafè
pure in carcere ‘o sanno fa
co’ à ricetta ch’à Ciccirinella
compagno di cella
ci ha dato mammà

Qui ci stà l’inflazione, la svalutazione
e la borsa ce l’ha chi ce l’ha
io non tengo compendio che chillo stipendio
e un ambo se sogno ‘a papà
aggiungete mia figlia Innocenza
vuo’ marito non tiene pazienza
non chiedo la grazia pe’ me
vi faccio la barba o la fate da sé

Voi tenete un cappotto cammello
che al maxi processo eravate ‘o chiù bello
un vestito gessato marrone
così ci è sembrato alla televisione
pe’ ‘ste nozze vi prego Eccellenza
mi prestasse pe’ fare presenza
io già tengo le scarpe e ‘o gillè
gradite ‘o Campari o volite ‘o cafè

A che bell’ò cafè
pure in carcere ‘o sanno fa
co’ à ricetta ch’à Ciccirinella
compagno di cella
ci ha dato mammà

A che bell’ò cafè
pure in carcere ‘o sanno fa
co’ à ricetta ch’à Ciccirinella
compagno di cella
preciso a mammà

Qui non c’è più decoro le carceri d’oro
ma chi l’ha mi viste chissà
chiste so’ fatiscienti pe’ chisto i fetienti
se tengono l’immunità

don Raffae’ voi politicamente
io ve lo giuro sarebbe ‘no santo
ma ‘ca dinto voi state a pagà
e fora chiss’atre se stanno a spassà

A proposito tengo ‘no frate
che da quindici anni sta disoccupato
isso ha fatto cinquanta concorsi
novanta domande e duecento ricorsi
voi che date conforto e lavoro
Eminenza vi bacio v’imploro
chillo duorme co’ mamma e co’ me
che crema d’Arabia ch’è chisto cafè

La domenica delle salme
Tentò la fuga in tram
verso le sei del mattino
dalla bottiglia di orzata
dove galleggia Milano
non fu difficile seguirlo

il poeta della Baggina
la sua anima accesa
mandava luce di lampadina
gli incendiarono il letto
sulla strada di Trento

riuscì a salvarsi dalla sua barba
un pettirosso da combattimento

I Polacchi non morirono subito
e inginocchiati agli ultimi semafori
rifacevano il trucco alle troie di regime
lanciate verso il mare

i trafficanti di saponette
mettevano pancia verso est
chi si convertiva nel novanta
ne era dispensato nel novantuno

la scimmia del quarto Reich
ballava la polka sopra il muro
e mentre si arrampicava
le abbiamo visto tutto il culo

la piramide di Cheope
volle essere ricostruita in quel giorno di festa
masso per masso
schiavo per schiavo
comunista per comunista

La domenica delle salme
non si udirono fucilate
il gas esilarante
presidiava le strade
la domenica delle salme
si portò via tutti i pensieri
e le regine del ”tua culpa”
affollarono i parrucchieri

Nell’assolata galera patria
il secondo secondino
disse a ”Baffi di Sego” che era il primo
– si può fare domani sul far del mattino –
e furono inviati messi
fanti cavalli cani ed un somaro
ad annunciare l’amputazione della gamba
di Renato Curcio
il carbonaro

il ministro dei temporali
in un tripudio di tromboni
auspicava democrazia
con la tovaglia sulle mani e le mani sui coglioni
– voglio vivere in una città
dove all’ora dell’aperitivo
non ci siano spargimenti di sangue
o di detersivo –
a tarda sera io e il mio illustre cugino De Andrade
eravamo gli ultimi cittadini liberi
di questa famosa città civile
perché avevamo un cannone nel cortile

La domenica delle salme
nessuno si fece male
tutti a seguire il feretro
del defunto ideale
la domenica delle salme
si sentiva cantare
– quant’è bella giovinezza
non vogliamo più invecchiare –

Gli ultimi viandanti
si ritirarono nelle catacombe
accesero la televisione e ci guardarono cantare
per una mezz’oretta
poi ci mandarono a cagare
– voi che avete cantato sui trampoli e in ginocchio
coi pianoforti a tracolla travestiti da Pinocchio
voi che avete cantato per i longobardi e per i centralisti
per l’Amazzonia e per la pecunia
nei palastilisti
e dai padri Maristi
voi avete voci potenti
lingue allenate a battere il tamburo
voi avevate voci potenti
adatte per il vaffanculo –

La domenica delle salme
gli addetti alla nostalgia
accompagnarono tra i flauti
il cadavere di Utopia
la domenica delle salme
fu una domenica come tante
il giorno dopo c’erano i segni
di una pace terrificante
mentre il cuore d’Italia
da Palermo ad Aosta
si gonfiava in un coro
di vibrante protesta

Mégu megùn
E mi e mi e mi
anà anà
e a l’aia sciurtì
a suà suà
e ou coèu ou coèu ou coèu
da rebellà
fin a piggià piggià
ou trèn ou trèn

E ‘nta galleria
gentè ‘a l’intra au scùu
sciòrte amarutia
loèugu de ‘n spesià
e ‘ntu strèitu t’aguèitan
te dumàndan chi t’è

e ‘nte l’àtra stànsia
è bagàsce a dà ou menù
e ti cu’na quàe che nu ti voèu
a tià a bibbia ‘nta miàgia

serrà a ciàve ànche ou barcùn
e arensenite sùrvia ou coèu

Uh mègu mègu mègu mè megùn
Uh chin-a chin-a zù da ou caregùn

‘Na carèga dùa
nèsciu de ‘ n turtà
‘na fainà ch’a sùa
e a ghe manca’a sa
tùtti sùssa rèsca
da ou xàtta in zù
se ti gii ‘a tèsta
ti te vèddi ou cù

e a stà foèa gh’è ou repentin
ch’a te tùcche ‘na pasciùn
pe ‘na faccia da madònna
ch’a te sposta ou ghirindùn
ùn amù mai in esclusiva
sempre cun quarcòsa da pagà
na scignurin-a che sùttu à cùa
a gh’a ou gàrbu da scignùa

Uh mègu mègu mègu mè megùn
Uh chin-a chin-a zù da ou caregùn

Uh che belin de ‘n nolu che ti me faièsci fa
Uh ch’a sùn de piggià de l’aia se va a l’uspià

E mi e mi e mi
nu anà nu anà
stà chi stà chi stà chi
durmì durmì

E mi e mi e mi
nu anà nu anà
stà chi stà chi stà chi
asùnàme

Medico medicone
E io e io e io
andare andare
e uscire all’aria
sudare sudare
e il cuore il cuore il cuore
da trascinare
fino a prendere a prendere
il treno il treno

E nella galleria
la gente entra al buio
esce ammalata
cesso d’ un farmacista
e nello stretto ti guardano
ti domandano chi sei

e nell’altra stanza
le bagasce a dare il menù
e tu con una voglia che non vuoi
a tirare la Bibbia nel muro

chiudere a chiave anche la finestra
e a ciambellarti sopra il cuore

Uh medico medico medico mio medicone
Uh vieni vieni giù dal seggiolone

Una sedia dura
scemo di un tortaio
una farinata che suda
e le manca il sale
tutti succhiatori di lische
dal pappone il giù
se giri la testa
ti vedi il culo

e a star fuori c’è il rischio
che ti tocchi una passione
per una faccia da Madonna
che ti sposta il comò
un amore mai in esclusiva
sempre con qualcosa da pagare
una signorina che sotto la coda
ha il buco da signora

Uh medico medico medico mio medicone
Uh vieni vieni giù dal seggiolone

Uh che cazzo di contratto mi faresti fare
Uh che a forza di prendere aria si va all’ospedale

E io e io e io
non andare non andare
stare qui stare qui stare qui
dormire dormire

e io e io e io
non andare non andare
stare qui stare qui stare qui
sognare

il patrimonio e il mestiere
che per loro il viaggiare non lo è
poi ti tocca un portiere viscido
e una stanza umida

La nova gelosia
Fenesta co’ ‘sta nova gelosia
tutta lucente
de centrella d’oro
tu m’annasconne
Nennerella bella mia
lassamela vedè
sinnò me moro

‘A çimma
Ti t’adesciàe ‘nsce l’èndegu du matin
ch’à luxe a l’à ‘n pè ‘n tera e l’àtru in mà

ti t’ammiàe a ou spègiu de ‘n tiànnin
ou cè s’ammia a ou spègiu da ruzà
ti mettiâe ou brûgu réddenu ‘nte ‘n cuxína á stría

che se d’à cappa a sgùggia ‘n cuxin-a stria
a xeùa de cuntà ‘e pàgge che ghe sùn
‘a cimma a l’è za pinn-a a l’è za cùxia

Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa

Bell’oueggè strapunta de tùttu bun
prima de battezàlu ‘ntou prebuggiun

cun dui aguggiuìn dritu ‘n pùnta de pè
da sùrvia ‘n zù fitu ti ‘a punziggè
àia de lùn-a vègia de ciaèu de nègia

ch’ou cègu ou pèrde ‘a tèsta l’àse ou sentè
oudù de mà misciòu de pèrsa lègia
cos’àtru fa cos’àtru dàghe a ou cè

Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra

nu turnà dùa
e ‘nt’ou nùme de Maria

tùtti diài da sta pùgnatta
anène via

Poi vegnan a pigiàtela i càmè
te lascian tùttu ou fùmmu d’ou toèu mestè

tucca a ou fantin à prima coutelà
mangè mangè nu sèi chi ve mangià

Cè serèn tèra scùa
carne tènia nu fàte nèigra
nu turnà dùa
e ‘nt’ou nùme de Maria
tùtti diài da sta pùgnatta
anène via.

La cima
Ti sveglierai sull’indaco del mattino
quando la luce ha un piede in terra e l’ altro in mare

ti guarderai allo specchio di un tegamino
il cielo si guarda allo specchio della rugiada
metterai la scopa (di saggina) usata (usurata, indurita) in un angolo

che se dalla cappa scivola in cucina la strega
a forza di contare le paglie che ci sono
la cima è già piena è già cucita

Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura

Bel guanciale materasso di ogni ben di Dio
prima di battezzarla nelle erbe aromatiche

con due grossi aghi dritti in punta di piedi
da sopra a sotto svelto la pungerai
aria di luna vecchia di chiarore di nebbia

che il chierico perde la testa e l’asino il sentiero
odore di mare mescolato a maggiorana leggera
cos’altro fare cos’altro dare al cielo

Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera

non ritornare dura
e nel nome di Maria

tutti i diavoli da questa pentola
andate via

Poi vengono a prendertela i camerieri
ti lasciano tutto il fumo del tuo mestiere

tocca allo scapolo la prima coltellata
mangiate mangiate non sapete chi vi mangerà

Cielo sereno terra scura
carne tenera non diventare nera
non ritornare dura
e nel nome di Maria
tutti i diavoli da questa pentola
andate via

Monti di Mola
In li Monti di Mola
la manzana
un’aina musteddina era pascendi

in li Monti di Mola
la manzana
un cioano vantarricciu e moru
era sfraschendi

e l’occhi s’intuppesini cilchendi ea ea ea ea
e l’ea sguttesida li muccichili cù li bae ae ae

e l’occhi la burricca aia
di lu mare

e a iddu da le tive escia
lu Maestrale

e idda si tunchià abbeddulata ea ea ea ea

iddu le rispundia linghitontu ae ae ae ae

– Oh bedda mea
l’aina luna
la bedda mea
capitale di lana

oh bedda mea
bianca foltuna –

– Oh beddu meu
l’occhi mi bruxi
lu beddu meu
carrasciale di baxi

lu beddu meu
lu core mi cuxi –

Amori mannu
di prima ‘olta
l’aba si suggi tuttu lu meli di chista multa

Amori steddu
di tutte l’ore
di petralana lu battadolu
di chistu core

Ma nudda si po’ fa nudda
in Gaddura
che no lu ènini a sapi
int’un’ora

e ‘nfattu una ‘ecchia infrasconata fea ea ea ea
piagnendi e figgiulendi si dicia cù li bae ae ae

– Beata idda
uai che bedd’omu
beata idda
cioanu e moru
beata idda

sola mi moru
beata idda
ià ma l’ammentu
beata idda
più d’una ‘olta
beata idda
‘ezzaia tolta –

Amori mannu
di prima ‘olta
l’aba si suggi tuttu lu meli di chista multa

Amori steddu
di tutte l’ore di petralana lu battadolu
di chistu core

E lu paese intreu s’agghindesi
pa’ lu coiu
lu parracu mattessi intresi
in lu soiu

ma a cuiuassi no riscisini
l’aina e l’omu
chè da li documenti escisini
fratili in primu

e idda si tunchià abbeddulata ea ea ea ea
iddu le rispundia linghitontu ae ae ae ae.

Monti di Mola
Sui Monti di Mola
la mattina presto
un’asina dal mantello chiaro stava pascolando

sui Monti di Mola
la mattina presto
un giovane bruno e aitante
stava tagliando rami

e gli occhi si incontrarono mentre cercavano acqua
e l’acqua sgocciolò dai musi insieme alle bave

e l’asina aveva gli occhi
color del mare

e a lui dalle narici usciva
il Maestrale

e lei ragliava incantata ea ea ea ea

lui le rispondeva pronunciando male ae ae ae ae

– Oh bella mia
l’asina luna
la bella mia
cuscino di lana

O bella mia
bianca fortuna –

– O bello mio
mi bruci gli occhi
il mio bello
carnevale di baci

oh bello mio
mi cuci il cuore –

Amore grande
di prima volta
l’ape ci succhia tutto il miele di questo mirto

amore bambino
di tutte le ore
di muschio il battacchio
di questo cuore

Ma nulla si può fare nulla
in Gallura
che non lo vengono a sapere
in un’ora

e sul posto una brutta vecchia nascosta tra le frasche
piangendo e guardando diceva fra sé con le bave alla bocca

– Beata lei
mamma mia che bell’uomo
beata lei
giovane e bruno
beata lei

io muoio sola
beata lei
me lo ricordo bene
beata lei
più d’una volta
beata lei
vecchiaia storta –

Amore grande
di prima volta
l’ape ci succhia tutto il miele di questo mirto

amore bambino
di tutte le ore di muschio il battacchio
di questo cuore

Il paese intero si agghindò
per il matrimonio
lo stesso parroco entrò
nel suo vestito

ma non riuscirono a sposarsi
l’asina e l’uomo
perché ai documenti risultarono
cugini primi

e lei ragliava incantata ea ea ea ea
lui le rispondeva pronunciando male ae ae ae ae.


DE ANDRÉ 1991 CONCERTI (1991)

Don Raffae’
La domenica delle salme
Fiume Sand Creek
Hotel Supramonte
Se ti tagliassero a pezzetti
Il gorilla
La canzone dell’amore perduto
Il testamento di Tito
La canzone di Marinella
Creuza de mä
Jamín-a
Sidún
Mégu Megún
 pittima
 duménega
 çímma
Sinán Capudán Pasciá
Le nuvole


ANIME SALVE (1996)

Prinçesa
Sono la pecora sono la vacca
che agli animali si vuol giocare
sono la femmina camicia aperta
piccole tette da succhiare

Sotto le ciglia di questi alberi
nel chiaroscuro dove son nato
che l’orizzonte prima del cielo
ero lo sguardo di mia madre

“che Fernandino è come una figlia
mi porta a letto caffè e tapioca
e a ricordargli che è nato maschio
sarà l’istinto sarà la vita”

e io davanti allo specchio grande
mi paro gli occhi con le dita a immaginarmi
tra le gambe una minuscola fica

nel dormiveglia della corriera
lascio l’infanzia contadina
corro all’incanto dei desideri
vado a correggere la fortuna

nella cucina della pensione
mescolo i sogni con gli ormoni
ad albeggiare sarà magia
saranno seni miracolosi

perché Fernanda è proprio una figlia
come una figlia vuol far l’amore
ma Fernandino resiste e vomita
e si contorce dal dolore

e allora il bisturi per seni e fianchi
in una vertigine di anestesia
finché il mio corpo mi rassomigli
sul lungomare di Bahia

sorriso tenero di verdefoglia
dai suoi capelli sfilo le dita
quando le macchine puntano i fari
sul palcoscenico della mia vita

dove tra ingorghi di desideri
alle mie natiche un maschio s’appende
nella mia carne tra le mie labbra
un uomo scivola l’altro si arrende

che Fernandino mi è morto in grembo
Fernanda è una bambola di seta
sono le braci di un’unica stella
che squilla di luce di nome Princesa

a un avvocato di Milano
ora Princesa regala il cuore
e un passeggiare recidivo
nella penombra di un balcone

o matu (la campagna)
o cèu (il cielo)
a senda (il sentiero)
a escola (la scuola)
a igreja (la chiesa)
a desonra (la vergogna)
a saia (la gonna)
o esmalte (lo smalto)
o espelho (lo specchio)
o baton (il rossetto)
o medo (la paura)
a rua (la strada)
a bombadeira (la modellatrice)
a vertigem (la vertigine)
o encanto (l’incantesimo)
a magia (la magia)
os carros (le macchine)
a policia (la polizia)
a canseira (la stanchezza)
o brio (la dignità)
o noivo (il fidanzato)
o capanga (lo sgherro)
o fidalgo (il gransignore)
o porcalhao (lo sporcaccione)
o azar (la sfortuna)
a bebedeira (la sbronza)
as pancadas (le botte)
os carinhos (le carezze)
a falta (il fallimento)
o nojo (lo schifo)
a formusura (la bellezza)
viver (vivere)

Khorakhané (a forza di essere vento)
Il cuore rallenta la testa cammina
in quel pozzo di piscio e cemento
a quel campo strappato dal vento
a forza di essere vento

porto il nome di tutti i battesimi
ogni nome il sigillo di un lasciapassare
per un guado una terra una nuvola un canto
un diamante nascosto nel pane

per un solo dolcissimo umore del sangue
per la stessa ragione del viaggio viaggiare
Il cuore rallenta e la testa cammina
in un buio di giostre in disuso

qualche rom si è fermato italiano
come un rame a imbrunire su un muro
saper leggere il libro del mondo
con parole cangianti e nessuna scrittura

nei sentieri costretti in un palmo di mano
i segreti che fanno paura
finchè un uomo ti incontra e non si riconosce
e ogni terra si accende e si arrende la pace

i figli cadevano dal calendario
Yugoslavia Polonia Ungheria
i soldati prendevano tutti
e tutti buttavano via

e poi Mirka a San Giorgio di maggio
tra le fiamme dei fiori a ridere a bere
e un sollievo di lacrime a invadere gli occhi
e dagli occhi cadere

ora alzatevi spose bambine
che è venuto il tempo di andare
con le vene celesti dei polsi
anche oggi si va a caritare

e se questo vuol dire rubare
questo filo di pane tra miseria e sfortuna
allo specchio di questa kampina
ai miei occhi limpidi come un addio

lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca
il punto di vista di Dio

Cvava sero po tute
i kerava
jek sano ot mori
i taha jek jak kon kasta
Poserò la testa sulla tua spalla
e farò
un sogno di mare
e domani un fuoco di legna

vasu ti baro nebo
avi ker
kon ovla so mutavia
kon ovla
perché l’aria azzurra
diventi casa
chi sarà a raccontare
chi sarà

ovla kon ascovi
me gava palan ladi
me gava
palan bura ot croiuti
sarà chi rimane
io seguirò questo migrare
seguirò
questa corrente di ali

Anime salve
Mille anni al mondo mille ancora
che bell’inganno sei anima mia
e che bello il mio tempo che bella compagnia
sono giorni di finestre adornate

canti di stagione
anime salve in terra e in mare
sono state giornate furibonde
senza atti d’amore

senza calma di vento
solo passaggi e passaggi
passaggi di tempo
ore infinite come costellazioni e onde

spietate come gli occhi della memoria
altra memoria e no basta ancora
cose svanite facce e poi il futuro
i futuri incontri di belle amanti scellerate

saranno scontri
saranno cacce coi cani e coi cinghiali
saranno rincorse morsi e affanni per mille anni
mille anni al mondo mille ancora

che bell’inganno sei anima mia
e che grande il mio tempo che bella compagnia
mi sono spiato illudermi e fallire
abortire i figli come i sogni

mi sono guardato piangere in uno specchio di neve
mi sono visto che ridevo
mi sono visto di spalle che partivo
ti saluto dai paesi di domani

che sono visioni di anime contadine
in volo per il mondo
mille anni al mondo mille ancora
che bell’inganno sei anima mia

e che grande questo tempo che solitudine
che bella compagnia

Dolcenera
Amìala ch’â l’arìa amìa cum’â l’é
amiala cum’â l’aria ch’â l’è lê ch’â l’è lê
amiala cum’â l’aria amìa amia cum’â l’è
amiala ch’â l’arìa amia ch’â l’è lê ch’â l’è lê
Guardala che arriva guarda com’è com’è
guardala come arriva guarda che è lei che è lei
guardala come arriva guarda guarda com’è
guardala che arriva che è lei che è lei

nera che porta via che porta via la via
nera che non si vedeva da una vita intera così dolcenera nera
nera che picchia forte che butta giù le porte

nu l’è l’aegua ch’à fá baggiá
imbaggiâ imbaggiâ
Non è l’acqua che fa sbadigliare
(ma) chiudere porte e finestre chiudere porte e finestre

nera di malasorte che ammazza e passa oltre
nera come la sfortuna che si fa la tana dove non c’è luna luna

nera di falde amare che passano le bare
âtru da stramûâ
â nu n’á â nu n’á
Altro da traslocare
non ne ha non ne ha

ma la moglie di Anselmo non lo deve sapere
ché è venuta per me
è arrivata da un’ora
e l’amore ha l’amore come solo argomento

e il tumulto del cielo ha sbagliato momento
acqua che non si aspetta altro che benedetta
acqua che porta male sale dalle scale sale senza sale sale
acqua che spacca il monte che affonda terra e ponte

nu l’è l’aaegua de ‘na rammâ
‘n calabà ‘n calabà
Non è l’acqua di un colpo di pioggia
(ma) un gran casino un gran casino

ma la moglie di Anselmo sta sognando del mare
quando ingorga gli anfratti si ritira e risale
e il lenzuolo si gonfia sul cavo dell’onda
e la lotta si fa scivolosa e profonda

amiala cum’â l’aria amìa cum’â l’è cum’â l’è
amiala cum’â l’aria amia ch’â l’è lê ch’â l’è lê
Guardala come arriva guarda com’è com’è
guardala come arriva guarda che è lei che è lei

acqua di spilli fitti dal cielo e dai soffitti
acqua per fotografie per cercare i complici da maledire
acqua che stringe i fianchi tonnara di passanti

âtru da camallâ
â nu n’à â nu n’à
Altro da mettersi in spalla
non ne ha non ne ha

oltre il muro dei vetri si risveglia la vita
che si prende per mano
a battaglia finita
come fa questo amore che dall’ansia di perdersi

ha avuto in un giorno la certezza di aversi
acqua che ha fatto sera che adesso si ritira
bassa sfila tra la gente come un innocente che non c’entra niente
fredda come un dolore Dolcenera senza cuore

atru de rebellâ
â nu n’à â nu n’à
Altro da trascinare
non ne ha non ne ha

e la moglie di Anselmo sente l’acqua che scende
dai vestiti incollati da ogni gelo di pelle
nel suo tram scollegato da ogni distanza
nel bel mezzo del tempo che adesso le avanza

così fu quell’amore dal mancato finale
così splendido e vero da potervi ingannare

Amìala ch’â l’arìa amìa cum’â l’é
amiala cum’â l’aria ch’â l’è lê ch’â l’è lê
amiala cum’â l’aria amìa amia cum’â l’è
amiala ch’â l’arìa amia ch’â l’è lê ch’â l’è lê
Guardala che arriva guarda com’è com’è
guardala come arriva guarda che è lei che è lei
guardala come arriva guarda guarda com’è
guardala che arriva che è lei che è lei

Le acciughe fanno il pallone
Le acciughe fanno il pallone
che sotto c’è l’alalunga
se non butti la rete
non te ne lascia una

alla riva sbarcherò
alla riva verrà la gente
questi pesci sorpresi
li venderò per niente

se sbarcherò alla foce
e alla foce non c’è nessuno
la faccia mi laverò
nell’acqua del torrente

ogni tre ami
c’è una stella marina
amo per amo
c’è una stella che trema

ogni tre lacrime
batte la campana
passano le villeggianti
con gli occhi di vetro scuro

passano sotto le reti
che asciugano sul muro
e in mare c’è una fortuna
che viene dall’oriente

che tutti l’hanno vista
e nessuno la prende
ogni tre ami
c’è una stella marina

ogni tre stelle
c’è un aereo che vola
ogni tre notti
un sogno che mi consola

bottiglia legata stretta
come un’esca da trascinare
sorso di vena dolce
che liberi dal male

se prendo il pesce d’oro
ve la farò vedere
se prendo il pesce d’oro
mi sposerò all’altare

ogni tre ami
c’è una stella marina
ogni tre stelle
c’è un aereo che vola

ogni balcone
una bocca che m’innamora
ogni tre ami
c’è una stella marina

ogni tre stelle
c’è un aereo che vola
ogni balcone
una bocca che m’innamora

le acciughe fanno il pallone
che sotto c’è l’alalunga
se non butti la rete
non te ne lascia una
non te ne lascia una
non te ne lascia

Disamistade
Che ci fanno queste anime
davanti alla chiesa
questa gente divisa
questa storia sospesa

a misura di braccio
a distanza di offesa
che alla pace si pensa
che la pace si sfiora

due famiglie disarmate di sangue
si schierano a resa
e per tutti il dolore degli altri
è dolore a metà

si accontenta di cause leggere
la guerra del cuore
il lamento di un cane abbattuto
da un’ombra di passo

si soddisfa di brevi agonie
sulla strada di casa
uno scoppio di sangue
un’assenza apparecchiata per cena

e a ogni sparo all’intorno
si domanda fortuna
che ci fanno queste figlie
a ricamare a cucire

queste macchie di lutto
rinunciate all’amore
fra di loro si nasconde
una speranza smarrita

che il nemico la vuole
che la vuol restituita
e una fretta di mani sorprese
a toccare le mani

che dev’esserci un modo di vivere
senza dolore
una corsa degli occhi negli occhi
a scoprire che invece
è soltanto un riposo del vento

un odiare a metà
e alla parte che manca
si dedica l’autorità

che la disamistade
si oppone alla nostra sventura
questa corsa del tempo
a sparigliare destini e fortuna

che fanno queste anime
davanti alla chiesa
questa gente divisa
questa storia sospesa

 cúmba
Pretendente:
Gh’aivu ‘na bella cùmba ch’à l’é xeûa foea de cà
gianca cun’à néie ch’à deslengue a cian d’à sâ

Duv’a l’é duv’a l’é

che l’han vursciua vedde cegâ l’àe a stù casâ
spéita cume l’aigua ch’à derua zû p’ou rià

Nu ghe n’é nu ghe n’é nu ghe n’é

Padre:
Cau ou mè zuenottu ve porta miga na smangiaxun
che se cuscì fise puriesci anàvene ‘n gattixun
Nu ghe n’é nu ghe n’é nu ghe n’é

Pretendente:
Vegnu d’â câ du rattu ch’ou magun ou sliga i pë

Padre:
Chi de cumbe d’âtri ne n’é vegnûe nu se n’é posé

Pretendente:
Vegnu c’ou coeu marottu de ‘na pasciun che nu ghe n’è

Padre:
Chi gh’é ‘na cumba gianca ch’â nu l’é â vostra ch’â l’é a me
Nu ghe n’é âtre nu ghe n’é / nu ghe n’é âtre nu ghe n’é

Coro:
A l’e xëuâ â l’é xëuâ / a cumba gianca
de noette â l’é xëuâ / au cian d’â sâ
A truvian â truvian / â cumba gianca
de mazu â truvian / au cian d’ou pan.

Pretendente:
Vui nu vuriesci dàmela sta cumba da maiâ
gianca cum’â neie ch’à deslengue ‘nt où rià
Duv’a l’é duv’a l’é / duv’a l’é duv’a l’é

Padre:
Miæ che sta comba bella a stâ de longo a barbacîo
che no m’a pòsse vedde a scricchî ‘nte ‘n atro nîo
Nu ghe n’é âtre nu ghe n’é / nu ghe n’é âtre nu ghe n’é

Pretendente:
A tegnio à dindanàse suttà ‘n angiou de melgranâ
cù a cua ch’ou l’ha d’â sèa â man lingèa d’ou bambaxia
Duv’a l’é duv’a l’é / duv’a l’é duv’a l’é

Padre:
Zuenu ch’âei bén parlòu ‘nte sta seian-a de frevâ

Pretendente:
A tegnio à dindanàse suttà ‘n angiou de melgranâ

Padre:
Saèi che sta cumba à mazu a xeuâ d’â më ‘nt â vostra câ

Pretendente:
Cu ‘â cua ch’ou l’ha d’â sea â mân lingea d’ou bambaxia
Nu ghe n’é âtre nu ghe n’é / nu ghe n’é âtre nu ghe n’é

Coro:
A l’e xëuâ â l’é xëuâ / a cumba gianca
de noette â l’é xëuâ / au cian d’â sâ
A truvian â truvian / â cumba gianca
de mazu â truvian / au cian d’ou pan.

Duv’a l’é duv’a l’é / ch’â ne s’ascunde
se maia se maia / au cian dou pan
cum’a l’é cum’a l’é / l’é cum’â neie
ch’â ven zu deslenguâ / da où rià.

A l’e xëuâ â l’é xëuâ / a cumba gianca
de mazu â truvian / au cian d’â sâ
Duv’a l’é duv’a l’é / ch’â ne s’ascunde
se maia se maia / au cian dou pan

Cùmba cumbétta / beccu de séa
sérva à striggiùn c’ou maiu ‘n giandùn
Martin ou và à pë / cun’ l’aze deré
foegu de légne anime in çé.

La colomba
Pretendente:
Avevo una bella colomba che è volata fuori casa
bianca come la neve che si scioglie a pian del sale

Dov’è dov’è

che l’hanno vista piegare le ali verso questo casale
veloce come l’acqua che precipita dal rio

Padre:
Caro il mio giovanotto non vi porta mica qualche prurito
che se così fosse potreste andarvene in giro per amorazzi
non ce n’è non ce n’è non ce n’è

Pretendente:
Vengo dalla casa del topo che l’angoscia slega i piedi

Padre:
Qui di colombe d’altri non ne son venute
non se ne son posate

Pretendente:
Vengo con il cuore malato di una passione che non ha uguali

Padre:
Qui c’è una colomba bianca che non è la vostra che è la mia
Non ce n’è altre non ce n’è non ce n’è altre non ce n’è

Coro:
E’ volata è volata / la colomba bianca
di notte è volata / a pian del sale
La troveranno la troveranno / la colomba bianca
di maggio la troveranno / al pian del pane

Pretendente:
Voi non vorreste darmela questa colomba da maritare
bianca come la neve che si scioglie nel rio
dov’è dov’è dov’è dov’è dov’è

Padre:
Guardate che bella colomba è abituata a cantare in allegria
che io non la debba mai vedere stentare in un altro nido
non ce n’è non ce n’è non ce n’è

Pretendente:
La terrò a dondolarsi sotto una pergola di melograni
con la cura che ha della seta la mano leggera del bambagiaio
dov’è dov’è dov’è dov’è dov’è

Padre:
Giovane che avete ben parlato in questa sera di febbraio

Pretendente:
La terrò a dondolarsi sotto una pergola di melograni

Padre:
Sappiate che questa colomba a maggio volerà dalla mia nella vostra casa

Pretendente:
Con la cura che ha della seta la mano leggera del bambagiaio
non ce altre n’è non ce n’è altre non ce n’è

Coro:
E’ volata è volata la colomba bianca
di notte è volata a pian del sale
La troveranno la troveranno la colomba bianca
di maggio la troveranno a pian del pane

dov’è dov’è che ci si nasconde
si sposerà si sposerà a pian del pane
Com’è com’è è come la neve
che viene giù sciolta dal rio

E’ volata è volata la colomba bianca
di maggio la troveranno al pian del sale
dov’è dov’è che ci si nasconde
si sposerà si sposerà al pian del pane

Colomba colombina becco di seta
serva a strofinare per terra col marito a zonzo
Martino va a piedi con l’asino dietro
fuoco di legna anime in cielo.

Ho visto Nina volare
Mastica e sputa
da una parte il miele
mastica e sputa
dall’altra la cera

mastica e sputa
prima che venga neve
luce luce lontana
più bassa delle stelle

quale sarà la mano
che ti accende e ti spegne
ho visto Nina volare
tra le corde dell’altalena

un giorno la prenderò
come fa il vento alla schiena
e se lo sa mio padre
dovrò cambiar paese
se mio padre lo sa
mi imbarcherò sul mare

Mastica e sputa
da una parte il miele
mastica e sputa
dall’altra la cera

mastica e sputa
prima che faccia neve
stanotte è venuta l’ombra
l’ombra che mi fa il verso

le ho mostrato il coltello
e la mia maschera di gelso
e se lo sa mio padre
mi metterò in cammino
se mio padre lo sa
mi imbarcherò lontano

Mastica e sputa
da una parte il miele
mastica e sputa
dall’altra la cera

mastica e sputa
prima che metta neve
ho visto Nina volare
tra le corde dell’altalena

un giorno la prenderò
come fa il vento alla schiena
luce luce lontana
che si accende e si spegne

quale sarà la mano
che illumina le stelle
mastica e sputa
prima che venga neve

Smisurata preghiera
Alta sui naufragi
dai belvedere delle torri
china e distante sugli elementi del disastro
dalle cose che accadono al disopra delle parole
celebrative del nulla
lungo un facile vento
di sazietà di impunità

Sullo scandalo metallico
di armi in uso e in disuso
a guidare la colonna
di dolore e di fumo
che lascia le infinite battaglie al calar della sera
la maggioranza sta la maggioranza sta
recitando un rosario
di ambizioni meschine
di millenarie paure
di inesauribili astuzie

Coltivando tranquilla
l’orribile varietà
delle proprie superbie
la maggioranza sta
come una malattia
come una sfortuna
come un’anestesia
come un’abitudine
per chi viaggia in direzione ostinata e contraria

col suo marchio speciale di speciale disperazione
e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi
per consegnare alla morte una goccia di splendore
di umanità di verità

per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio
e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli
con improbabili nomi di cantanti di tango
in un vasto programma di eternità

ricorda Signore questi servi disobbedienti
alle leggi del branco
non dimenticare il loro volto
che dopo tanto sbandare
è appena giusto che la fortuna li aiuti
come una svista
come un’anomalia
come una distrazione
come un dovere


MI INNAMORAVO DI TUTTO (1997)

Coda di lupo
La canzone di Marinella (con Mina)
Sally
La cattiva strada
Canto del servo pastore
Bocca di rosa
Se ti tagliassero a pezzetti
Jamín-a
La canzone dell’amore perduto (live)
Il bombarolo
Ave Maria


DE ANDRÉ IN CONCERTO (1999)

Creuza de mä
Prinçesa
Khorakhané (a forza di essere vento)
Dolcenera
L’infanzia di Maria
Il ritorno di Giuseppe
Il sogno di Maria
Tre madri
Il testamento di Tito
La città  vecchia
Amico fragile
Il pescatore
Geordie
Via del Campo
Volta la carta


OPERE COMPLETE (14 CD,  1999)

VOL. 1
TUTTI MORIMMO A STENTO
VOL. 3
LA BUONA NOVELLA
NON AL DENARO NON ALL’AMORE NÉ AL CIELO
STORIA DI UN IMPIEGATO
CANZONI
VOL. 8
RIMINI
FABRIZIO DE ANDRÉ
CREUZA DE MÄ
LE NUVOLE
ANIME SALVE
UNA STORIA SBAGLIATA/IL PESCATORE


DA GENOVA (2000)

Il suonatore Jones
Ottocento
Andrea
Verranno a chiederti del nostro amore
Canzone per l’estate
Hotel Supramonte
Don Raffae’
Amore che vieni amore che vai
Suzanne
La ballate del Michè
Canzone del Maggio
La guerra di Piero
Girotondo
Anime Salve


PECCATI DI GIOVENTÙ (2000)

La canzone dell’amore perduto
La ballata dell’amore cieco
La canzone di Marinella
Delitto di paese
Fila la lana
Il fannullone
La ballata del Michè
Il testamento
Amore che vieni, amore che vai
La guerra di Piero
Valzer per un amore
Carlo Martello torna dalla battaglia di Poitiers
Geordie
La ballata dell’eroe
Per i tuoi larghi occhi
La città vecchia


ED AVEVAMO GLI OCCHI TROPPO BELLI (2001)

Elogio della solitudine (discorso)
Prinçesa e i Rom (discorso)
A fianco degli indiani (discorso)
Se ti tagliassero a pezzetti
Ai figli della luna (discorso)
Le maggioranze (discorso)
Un discorso sulla libertà (discorso)
I carbonari


FABRIZIO DE ANDRÉ IN CONCERTO VOL. 2 (2001)

Jamín-a
Le acciughe fanno il pallone
La domenica delle salme
Disamistade
Fiume Sand Creek
Sidún
Anime salve
Don Raffae’
Ho visto Nina volare
 cúmba

Bocca di rosa
Smisurata preghiera


IN DIREZIONE OSTINATA E CONTRARIA (3 CD, 2005)

Amore che vieni amore che vai
La città vecchia
Via del Campo
Bocca di rosa
La canzone di Marinella
Ballata dell’amore cieco (o della vanità)
Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers
La guerra di Piero
La ballata dell’eroe
Il pescatore
Canzone dell’amore perduto
La ballata del Miché
Preghiera in gennaio
Valzer per un amore
Si chiamava Gesù
Il sogno di Maria
Ave Maria
Il testamento di Tito
Inverno
Girotondo
Terzo intermezzo
Recitativo (Due invocazioni e un atto d’accusa)
Corale (Leggenda del Re infelice)

La collina
Un giudice
Un ottico
Il suonatore Jones
Introduzione
Canzone del maggio
Il bombarolo
Verranno a chiederti del nostro amore
La cattiva strada, Giugno ’73
Canzone per l’estate
Amico fragile
Andrea
Volta la carta
Titti
Una storia sbagliata
Geordie

Fiume Sand Creek
Hotel Supramonte
Se ti tagliassero a pezzetti
Creuza de mä
Sidún
 duménega
La domenica delle salme
‘A çimma
Don Raffae’
Khorakhané (A forza di essere vento )
Prinçesa
Ho visto Nina volare
Anime salve
Smisurata preghiera
Cose che dimentico (versione live inedita cantata con Cristiano De André )


IN DIREZIONE OSTINATA E CONTRARIA 2 (3 CD, 2006)

La stagione del tuo amore
Nell’acqua della chiara fontana
S’i’ fosse foco
Fila la lana
Il re fa rullare i tamburi
Spiritual
La canzone di Barbara
Il testamento
Delitto di paese
Il gorilla
Cantico dei drogati
Leggenda di Natale
Ballata degli impiccati
Laudate dominum
L’infanzia di Maria
Il ritorno di Giuseppe
Maria nella bottega di un falegname
Tre madri
Laudate hominem

Un malato di cuore
Un medico
Un matto (dietro ogni scemo c’è un villaggio)
Al ballo mascherato
Canzone del padre
Nella mia ora di libertà
Suzanne
Le passanti
Via della povertà
Oceano
Le storie di ieri
Avventura a Durango
Sally
Coda di lupo
Rimini
Zirichiltaggia (Baddu tundu)
Parlando del naufragio della London Valour

Quelle che non ho
Canto del servo pastore
Franziska
Ave Maria – Sinán Capudán Pasciá – D’ä mê riva –
‘A pittima
Jamín-a
Le nuvole
Ottocento
Monti di Mola
La nova gelosia
Mégu megùn
Dolcenera
Le acciughe fanno il pallone
 cúmba
Disamistade


EFFEDIA SULLA MIA CATTIVA STRADA (2 CD, 2008)

Bella se vuoi volare
La cattiva strada
La città vecchia
Dolcenera
Le acciughe fanno il pallone
Quello che non ho
Il gorilla
Le passanti
Amore che vieni amore che vai
La ballata del Michè
La canzone di Marinella (con Mina)
La ballata dell’eroe
La guerra di Piero (con la PFM)
Sidún
Fiume Sand Creek
Girotondo
Cielito Lindo (con la Banda Osiris)
Canzone del maggio
Il testamento di Tito
Bocca di rosa

Maria Giuana
Via del Campo
Creuza de mä
Khorakhané (a forza di essere vento) (con Luvi De Andrè)
Monti di Mola
Andrea
Rimini
Hotel Supramonte
Ho visto Nina volare
Un malato di cuore
Don Raffae’ (con Roberto Murolo)
Preghiera in gennaio
Se ti tagliassero a pezzetti
La domenica delle salme
Ottocento
Amico fragile
Dai monti della Savoia